C’era tanta gente in piazza a Bologna per Matteo Salvini. Forse meno di quanto si aspettasse Salvini e comunque certamente non le oltre 100mila di cui parlano gli organizzatori (del resto, un numero simile non entrerebbe nemmeno in piazza Maggiore). C’era sicuramente tanto entusiasmo, soprattutto di sostenitori e militanti leghisti. C’era molto del “nuovo corso leghista”, con la riduzione al minimo delle solite stupidaggini sulla secessione e con molta attenzione ai temi delicati.
Però la spallata che Salvini sognava non c’è stata. E tutto sommato, questa sarà la manifestazione dei rimpianti, per il leader della Lega Nord. Che è finito con l’essere oscurato, messo in ombra, da altre “situazioni”, da altri e imprevedibili protagonisti. Insomma, doveva essere la giornata di Salvini: è stata “anche” la giornata di Salvini. Non proprio il massimo, nel tempo della personalizzazione dello scontro politico e nel momento in cui l’onda lunga dei sondaggi sembra definitivamente rientrata.
Il primo tassello alla giornataccia di Salvini lo aveva messo da tempo Silvio Berlusconi. Raccogliendo con gioia “l’invito” di Salvini, evitando di creare problemi e accettando di buon grado di mettersi in secondo piano, per lasciare la chiusura al leader leghista. Ma, allo stesso tempo, mettendo il cappello sulla manifestazione. Legando il progetto politico di Matteo Salvini alla sua presenza, come garante del voto moderato e presentandosi ancora una volta come alternativa a Matteo Renzi e al suo partito della Nazione. E poco importa se si è preso qualche fischio. Conta più di tutto il suo: “Salvini, io e la Meloni vinceremo”.
Poi c’era Giorgia Meloni, già alleata de facto di Matteo Salvini. Una presenza che, benché più tollerata di quella del Cavaliere, contribuisce (se ce ne fosse ancora bisogno) a collocare il progetto di Salvini nello spazio (a destra) e nel tempo (quello della politica tradizionale). Oltre a essere un potenziale competitor su temi cari a un certo tipo di elettorato (difesa della famiglia “tradizionale”, immigrazione, sicurezza).
In ogni caso quella foto, con la Meloni tra lui e Berlusconi e con un cartonato di persone felici sullo sfondo, è un boomerang pazzesco, oltre che l’immagine di un mezzo flop.
La contestazione degli antagonisti, in più, stavolta non è servita alle tradizionali strumentalizzazioni. Certo, ci hanno provato un po’ tutti dal palco (parlando dei “figli di papà”, dei “contestatori di professione”, dei "comunisti sfigati" eccetera), ma finendo col catalizzare l’attenzione proprio sui cortei e sul messaggio di contestazione al progetto leghista.
Valentino Rossi e la MotoGP. Alzi la mano chi ha mai visto un leader politico concludere il comizio in fretta per permettere ai partecipanti di vedersi un evento sportivo. O meglio, chiudere un comizio annunciando la possibilità di vedere una gara motociclistica direttamente dai maxischermi del palco.
Niente di clamoroso, siamo d’accordo. Ma non il massimo possibile in quella che sarebbe dovuta essere una giornata epocale. La consacrazione di un leader, insomma, è ancora rimandata.