È inutile girarci intorno: la minaccia Covid-19 non è ancora neutralizzata, il ritorno alla normalità non è vicino e ci aspettano ancora mesi molto complicati. Ce lo dicono i dati che arrivano dal resto del mondo sulla diffusione del contagio, le analisi sull’evoluzione del virus e l’esperienza che abbiamo maturato in questi mesi durissimi. Non è finita finché non è finita, insomma, e rischiamo di pagare a caro prezzo l’inazione dettata dalla considerazione che il contesto attuale garantisce di vivere le prossime settimane in una condizione di relativa tranquillità. Il calo dei contagi, delle ospedalizzazioni e delle morti per Covid-19 in Italia non deve impedirci di vedere il contesto globale e valutare con grande attenzione gli scenari nel breve e medio periodo.
Da giorni il dibattito sul contagio in Italia è dominato dall’inesorabile crescita della variante Delta, destinata a diventare dominante nel breve volgere di qualche settimana, come già accaduto in altri Paesi europei. Ancora una volta abbiamo a disposizione una sorta di finestra temporale: potendo guardare all’esempio del Regno Unito (e a breve anche di Spagna e Portogallo), sappiamo perfettamente cosa accadrà in Italia. Sappiamo cioè che i casi sono destinati ad aumentare a causa della maggiore contagiosità della variante Delta; aumenterà anche la pressione sui servizi ospedalieri, seppur in maniera meno marcata; conseguentemente, è prevedibile che torni a crescere anche il numero dei decessi. Si tratta di un quadro che si presenterà in modo ineluttabile, riconoscerlo non è fare terrorismo, bensì avere la consapevolezza che la vera partita si gioca sulle "dimensioni" della crescita di casi, ospedalizzazioni e morti, in definitiva sull'impatto della variante Delta (incluse tempistiche e distribuzione territoriale).
Per fortuna, infatti, ci sono un bel po' di fattori che potrebbero giocare a nostro favore in questa ennesima sfida col virus. Il primo, fondamentale, è l'efficacia dei vaccini contro la variante. I dati che arrivano in particolare dal Regno Unito mostrano con chiarezza che i vaccini, tutti i vaccini approvati, funzionano contro le varianti principali, riducono sensibilmente il contagio ma soprattutto l'insorgenza di forme severe della malattia, quelle che determinano poi ospedalizzazioni e morti. Inoltre, sappiamo che la Delta resta problematica per chi ha ricevuto una sola dose di vaccino, anche se i casi gravi registrati riguardano soprattutto persone non vaccinate neanche parzialmente. Due dosi controllano bene la variante, ne riducono gli effetti e la rendono meno problematica. Informazioni cruciali, che dovrebbero portare ad aggiustamenti immediati nella campagna vaccinale, sia per quanto riguarda le tempistiche fra prima e seconda dose, sia per quel che concerne la strategia di recupero dei soggetti più fragili ed esposti, che ancora non si sono vaccinati.
Nella corsa a inseguimento fra la variante e il vaccino, abbiamo ancora qualche settimana di vantaggio e dobbiamo sfruttare ogni minuto per muoverci con oculatezza sulle somministrazioni e con rapidità sull'ampliamento della platea vaccinale. Sono ancora troppi gli over 60 che non si sono ancora sottoposti neanche alla prima somministrazione: un problema che le Regioni e la struttura commissariale dovrebbero porre in cima alla lista delle priorità di intervento, magari facendo ricorso a quella sanità di prossimità che ha contribuito poco o nulla alla prima fase della campagna vaccinale. Non si può più aspettare, i medici di base devono diventare protagonisti, se necessario andando casa per casa per convincere, rassicurare e guidare le persone più anziane.
Vaccinare il più possibile e il meglio possibile è fondamentale, ma non possiamo dimenticare che il contenimento del contagio passa anche attraverso l'attenzione alle pratiche individuali che abbiamo imparato a mettere in atto in questi mesi: distanziamento, utilizzo delle mascherine quando necessario, igiene personale, miglioramento della ventilazione nei luoghi in cui il rischio contagio è maggiore. Se poi l'estate e il contesto attuale rendono impossibile tenere bassi i livelli della mobilità tra le Regioni, ben altro potrebbe (dovrebbe) essere l'approccio per il controllo degli ingressi nel nostro Paese dalle nazioni in cui la Delta è maggiormente diffusa (l'esempio di "cosa non andrebbe fatto" ce lo ha platealmente fornito il ministro della Salute Speranza, con la quarantena per i britannici postdatata per permettere a qualche migliaio di tifosi gallesi di assistere a una partita di calcio).
Infine, gli errori fatti in occasione della seconda ondata, quando il governo e le istituzioni sanitarie si dimostrarono incapaci di agire per tempo, riducendosi ad attendere che il contagio schizzasse a livelli non controllabili, dovrebbero averci insegnato l'importanza di mantenere attivo e funzionante un sistema di tracciamento, isolamento e contenimento dei cluster. Proprio perché il livello dei contagi in Italia è basso, dovremmo essere in grado di ricostruire le catene di trasmissione e intervenire in tempo utile.
Insomma, vaccinare bene e in fretta per ridurre l'impatto delle varianti, che conosciamo e possiamo battere. Ma anche contenere il virus, tracciare e sequenziare. Per fare davvero il passo decisivo per l'uscita dal tunnel.