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Opinioni

La generazione Leopolda ha voluto salvare solo sé stessa (sulle spalle dei giovani)

La Leopolda di Matteo Renzi racconta un futuro distopico in cui i vincenti hanno cambiato il paese. La realtà qui non trova spazio. E i giovani che soffrono, non lavorano e lasciano il paese, vengono cancellati.
A cura di Michele Azzu
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Il potere, si dice, logora chi non ce l’ha. Chi lo ottiene, invece, rischia di diventare cieco. Perché è difficile stando al potere riuscire a mantenere il contatto con la realtà, a parlare coi precari, i cassintegrati, con le donne che perdono lavoro e pensione per via della maternità. Quelle realtà, insomma, che abbiamo letto in questi giorni nei dati dell’Istat, nelle simulazioni dell’Inps, nell’allarme dell’OCSE sui laureati.

Tutto questo però -questa realtà- non la troverete alla sesta edizione della Leopolda, la tre giorni di Matteo Renzi che si tiene nel weekend a Firenze. Al suo posto c’è una narrazione, quella della “generazione Leopolda”. È la lettura di un futuro distopico dell’Italia dove la povertà è stata sconfitta, i giovani trovano lavoro e il paese è uscito dalla crisi grazie a Matteo Renzi.

Nelle parole del premier a Maria Teresa Meli, sul Corriere: “La generazione Leopolda adesso è al potere: dobbiamo dimostrare di cambiare la politica (…) Mi fa piacere che ritrovandosi con gli amici di sempre, ti rendi conto che alla fine dei conti non siamo cambiati, che noi siamo sempre noi, persone semplici, chiamate per un po’ a servire il paese e poi pronte a tornare al proprio ruolo”.

La generazione Leopolda, nel racconto di Matteo Renzi, è quella dei “vincenti”. Che ha scardinato il vecchio sistema di potere, assieme alla vecchia dirigenza del Pd, ed è riuscita in un anno e mezzo di governo a cambiare il paese. “Nei fatti la Leopolda ha rivoluzionato il sistema politico”, dice il premier al Corriere. Ma i fatti, qui, c’entrano poco. La povertà, la discriminazione, le disuguaglianze sociali… qui non esistono.

Perché la realtà diverge dal racconto. E nel mondo reale, la generazione Leopolda è un ristretto, esclusivo, gruppo di persone provenienti per lo più da posizioni privilegiate, che in pochi anni è salito al potere e ha fatto fortuna. Che ora occupa i posti che contano ricevendo stipendi da favola. Ma questo con la questione generazionale non ha nulla a che fare, né col cambiamento del paese. È semplicemente una lotta di potere che riguarda l’1% della popolazione (ricca).

Nel Mediterraneo della crisi, la generazione Leopolda è quella che è riuscita ad arrampicarsi sull’ultima zattera disponibile scavalcando i corpi di chi stava sotto. Inizialmente, quelli degli avversari politici. Ma dopo un anno e mezzo di governo a essere “schiacciata” è la generazione reale, quella fuori dai metri quadri della Leopolda, quella dei trentenni e dei ventenni che non riescono a campare. Coloro che non credono più nell’ascesa sociale, che non cercano neanche più lavoro e abbandonano il paese in massa.

Mentre un governo, una nuova classe dirigente di “vincenti” dice loro, ogni giorno, che le cose stanno andando meglio (grazie a loro). E li cancella dalla storia. “Abbiamo dimostrato che niente è impossibile”, scrive Renzi su Facebook, “E partendo dal basso si può scalare la montagna della vecchia politica”. L’edizione 2015 della Leopolda è esattamente questo: uno show per stabilire che le cose sono cambiate (in meglio). Con poca politica e tanti sportivi, artisti e celebrità. Ci sono le tenniste Flavia Pennetta e Roberta Vinci, l’astronauta Samantha Cristoforetti. E vincenti di alto profilo, come Filippo Grandi, a capo dell’Alto Commissariato Rifugiati dell’ONU, o Fabiola Gallotti che dirigerà il Cern di Ginevra. Pif, forse Jovanotti (ma non è certo) ed altri ancora.

Scrive Renzi su Facebook: “La Leopolda non è un meeting di partito, ma un incontro di persone che credono nel valore della politica”. Per questo quattro ministri – probabilmente Pier Carlo Padoan, Giuliano Poletti, Dario Franceschini e Marianna Madia – faranno il “question time”, un momento in cui riceveranno le domande dal pubblico in modo “innovativo e divertente”. È la parvenza di un confronto che maschera la totale assenza di esso, di una classe dirigente che risponde solamente a sé stessa con l’appoggio di buona parte dei media.

Pensare che alla prima Leopolda avevano partecipato 7mila persone, tra radicali, sindacalisti e ambientalisti, movimenti e varie anime della sinistra. Pensare che bisognava mandare “fuori i partiti dalla RAI”, e poi si è vista com’è finita. Con le nomine nel Cda delle tv di Stato dell’ex spin doctor di Renzi, della vice responsabile cultura del Pd, dell’ex segretario della Federazione Nazionale della Stampa. Pensare che questo evento potrebbe essere un'occasione unica per dare voce a chi fatica ad arrivare alla fine del mese, per ascoltarli, e invece di loro non si pronuncia neanche il nome.

Questa generazione Leopolda, che doveva rispondere agli interessi di un paese incancrenito su vecchi sistemi di potere, ha vinto, sì, ma ha saputo pensare solo a sé stessa. E hanno fatto tutti carriera, come spiega l’accurato elenco di David Allegranti su Il Foglio che illustra le posizioni dei singoli partecipanti della Leopolda della prima, seconda e terza ora. Hanno fatto carriera, hanno fatto i soldi, hanno vinto. E ora devono raccontarci a tutti i costi che hanno cambiato il paese.

Ma chi sta al potere, oggi come ieri, è cieco. Non vuole vedere il vero dramma generazionale di questo paese. Perché sei giovani su dieci continuano a vivere a casa dei genitori fino ai 35 anni. Perché mentre la disoccupazione generale è diminuita (ma è calata anche l’occupazione), è cresciuta quella giovanile, fra le più alte d’Europa al 40%. E senza contare gli inattivi, che crescono, i Neet, insomma tuti quelli che non studiano e non cercano neanche più lavoro perché sanno che non lo troveranno.

Quelle centinaia di migliaia di giovani che un lavoro non l’hanno trovato neanche con la Garanzia Giovani, né col Jobs Act perché quei pochi posti di lavoro, spiega l’Istat, sono andati soprattutto agli over 50. Mentre l’Inps comunica che i trentenni d’oggi andranno in pensione dopo i 70 anni e con una cifra misera, mentre l’OCSE segnala che solo un giovane su due prosegue gli studi dopo le superiori. Mentre i giovani emigrano in massa verso l’Inghilterra, la Germania, perfino i paesi dell’ex blocco sovietico dove trovano più opportunità che da noi.

Pochi giorni fa Matteo Renzi diceva all’UE: “L’Europa deve cambiare. Credo che sia arrivato il momento per le Istituzioni Europee di guardare in faccia la realtà: di sola tattica si muore”. E se questo è sicuramente vero, è anche vero come scrive Alessandro Gilioli su piovonorane che: “Ancora mi sfugge quale new deal e quale patto sociale stia fattivamente proponendo e tanto meno attuando [Matteo Renzi nda] per invertire la rotta, perché alle parole seguano i fatti, cioè il ribaltamento di quei dogmi e di quelle prassi che qui ci hanno portato, ognuno per sé e nessun dio per tutti”.

Quella che va in scena in questi giorni alla Leopolda è il racconto di una generazione che ha saputo salvare solo sé stessa, sulle spalle dei giovani. E che oggi cancella tutto il resto per assolversi da ogni colpa e perpetuarsi.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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