Ci siamo spesso chiesti come mai alcuni parlamentari si sentano quasi in dovere di ricorrere a mezzucci da avanspettacolo per rafforzare le proprie tesi o per dare risalto ai propri interventi in Aula. Un meccanismo diventato quasi la regola nella scorsa legislatura, grazie alle “trovate geniali” dei parlamentari del Movimento 5 Stelle. Che, evidentemente, devono aver fatto scuola, se si considerano i primi mesi di governo Lega – M5s, con l’opposizione che ha adottato lo stesso schema in più di una occasione.
L’episodio di oggi è estremamente indicativo, perché è a metà strada fra il ridicolo e l’autolesionista. Certo, la vetta dei senatori del PD che sventolano cartelli in cui parlano di “più clandestini” per contestare il decreto Salvini resta lontanissima, ma il modo in cui il senatore di Forza Italia Antonio Saccone ha inteso contestare il ministro Di Maio è comunque notevole e tradisce il vero posizionamento del partito su un tema complesso come quello del lavoro e del reddito di cittadinanza. Saccone ha infatti deciso di incollare la faccia del ministro del Lavoro su un gilet da steward (con tanto di simbolo della Champions League), sventolandolo in Aula al termine del suo intervento. Saccone ha rinfacciato a Di Maio di aver indossato un solo gilet, “quello da steward allo stadio San Paolo di Napoli”, esprimendo l’augurio che il ministro sia promosso dai vertici dell’UEFA “con il doppio dello stipendio”, perché “torni a indossare quel gilet, per liberare l'Italia e gli italiani dalle sue politiche che creano recessione e disoccupazione”.
Malgrado la contestualizzazione “para…” (per il senatore forzista quello dello steward sarebbe un ”lavoro dignitoso, decoroso, che peraltro ha anche una funzione sociale”), è evidente il senso dispregiativo dell’accostamento del gilet da steward al ruolo di parlamentare e uomo delle istituzioni. E il tono paternalista di Saccone non fa altro che confermare il classismo di una simile impostazione: quella per la quale chi fa lavori umili deve necessariamente restare in quella condizione per il resto della vita, non può rappresentare i cittadini, figurarsi occupare un ruolo di responsabilità. Al netto delle valutazioni sulle competenze e le capacità di Di Maio, quello che è inaccettabile è immaginare che le posizioni in questo Paese debbano essere cristallizzate in eterno e che l'aver fatto in passato lavori umili (oddio, più che altro dovremmo parlare di lavori a bassa retribuzione) sia in qualche modo un marchio indelebile, che vincola l'individuo a una condizione di inferiorità, o meglio, di marginalità nella scala sociale. Stupidi noi a pensare che uno dei veri problemi del Paese sia proprio il blocco de facto dell'ascensore sociale, insomma.