Insomma, fiumi di parole, anni di ragionamenti per tornare al "colpirne uno per educarne cento", o all'esempio che "forma" l'opinione pubblica? Insomma siamo al giustizialismo duro e puro, o meglio, alla giustizia sommaria, che si fa beffe dei diritti individuali in nome di un non ben precisato "segno della presenza" dello Stato? Insomma, siamo al sacrificio della libertà d'espressione in nome della riaffermazione della "normalità" all'interno degli stadi? Ma sul serio è questo quello che ci tocca di sopportare pur di dare una lezione a Genny ‘a Carogna e compagni? Confessiamo che per un attimo il timore è stato proprio questo, fondato, almeno se si pensa alle prime dichiarazioni di Alfano e di altri esponenti politici pronti a cavalcare la nuova ondata di indignazione dopo i fatti di Roma. Poi, pian piano sembra aver prevalso la ragionevolezza (a pensar male si potrebbe far riferimento all'incombere della campagna elettorale), dapprima attraverso la cautela di Renzi, poi con un intervento "da democristiano" di Alfano alla Camera dei deputati. E la nuova parola d'ordine è "cautela", il nuovo indirizzo è quello di "non lasciarsi prendere dall'emotività".
E per fortuna non c'è stato alcun riferimento al modello inglese, al "fare come la Thatcher", mantra ripetuto ovunque negli ultimi giorni (e completamente a caso). In pratica, si tratterebbe di blindare gli stadi con un massiccio utilizzo delle forze di polizia, limitare l'accesso alle gare ai tifosi in maniera preventiva, esasperare la "legislazione speciale" per ciò che accade intorno ad una partita di pallone e, appunto, mandare a farsi benedire i diritti individuali con una serie di misure illiberali (si veda l'ottima ricostruzione della questione fatta da Alberto Sofia su Giornalettismo). Insomma, affrontare la questione con la repressione e con la follia di nuove leggi speciali: scelta che probabilmente significherebbe andare incontro ad un nuovo fallimento. Destinato inevitabilmente a lasciare una ulteriore scia di sangue.
Intanto però ci tocca confrontarci con l'assurdo logico e concettuale delle sanzioni per chi avrà l'ardire di indossare una maglietta con una scritta che invoca la libertà per un condannato ad 8 anni di carcere. Un messaggio "discutibile" sotto il profilo etico, potremmo convenirne (e certamente non ci interessa fare l'apologia del pensiero critico di "Genny ‘a Carogna"). Ma la libertà di espressione è garantita costituzionalmente. E la Costituzione dovrebbe "valere" anche negli stadi, non solo nelle manifestazioni davanti ai Tribunali dopo la condanna per frode fiscale di "qualcuno" (Alfano, le dice niente?).
Che poi, con buona pace degli integralisti, non guasterebbe una constatazione di fondo: le leggi repressive e "speciali" ci sono già (e in parte vengono anche applicate), la zona grigia è un'altra. È quella dei rapporti e delle connivenze fra ultras, società e forze dell'ordine. Quella del disimpegno delle società di calcio (volete il modello inglese? Cominciate dagli stadi e dalla gestione della sicurezza interna) e delle tante concessioni che continuamente vengono fatte ai tifosi per "motivi di ordine pubblico" (gli ingressi senza biglietto, gli spostamenti militarizzati, la sostanziale impunità nelle curve e via discorrendo). E non guasterebbe cominciare magari ad eliminare, concettualmente, logicamente e giuridicamente, la distinzione fra tifoso e cittadino, fra ultras e delinquente comune. Ma sarebbe un omaggio alla normalità: e non sia mai detto che accada una cosa del genere in questo Paese.