Sono giorni piuttosto complessi per Giorgia Meloni, impegnata nel tentativo di venire a capo di una vicenda delicata e difficile come quella dell’arresto di Cecilia Sala. Con il passare dei giorni, mentre la giornalista continua a essere detenuta in condizioni probanti, cresce la consapevolezza che il nostro governo sarà chiamato a operare una scelta radicale e netta, proprio perché la priorità non può che essere riportare a casa Sala.
Una volta accertato, infatti, il legame tra il pretestuoso arresto della giornalista italiana e il quello dell’ingegnere iraniano Abedini Najafabadi, le opzioni si sono drasticamente ridotte: lavorare per una sorta di scambio tra prigionieri, oppure attendere che siano formalizzate le accuse (?) nei confronti della nostra connazionale e sperare nella giustizia iraniana. La trattativa è complicata, con tempi che ancora non sono chiarissimi, quando invece occorrerebbe fare presto. Sull’urgenza, del resto, maggioranza e opposizione concordano, al netto di qualche polemica sulla poca cautela mostrata inizialmente e dell’incredibile fuoco di sbarramento che i giornali della destra stanno facendo contro i leader del centrosinistra.
La questione fondamentale è capire che, dopo le mosse iraniane e le interlocuzioni con gli USA, la palla è nelle mani del governo italiano. In prima battuta sul piano della pressione diplomatica e negoziale, per garantire che le condizioni di detenzione di Sala siano degne e confortevoli. È una necessità impellente, come ha ricordato la madre della giornalista, su cui la nostra diplomazia è chiamata a fare di più e meglio, proprio nella considerazione del fatto che parliamo dell'arresto pretestuoso e a scopo ritorsivo di una giornalista in Iran con un regolare visto, che stava svolgendo il proprio lavoro nel pieno rispetto delle leggi del Paese.
Poi, c'è la vicenda giudiziaria dell'ingegnere iraniano, precondizione di qualunque dialogo produttivo con Teheran. Questo è un punto centrale, su cui da giorni ci si arrovella nella ristretta cerchia dei fedelissimi di Meloni. Finora, la linea è stata quella del “rispetto” delle competenze della magistratura italiana. Una posizione corretta, per carità, ma anche deresponsabilizzante e che tende alla procrastinazione. E il tempo, come detto, è un fattore importante. Al momento, c’è una sola data fissata in calendario, il 15 gennaio, giorno in cui si terrà l’udienza per stabilire se l’ingegnere iraniano potrà andare ai domiciliari. Sul punto, c’è già stato un parere negativo da parte della procuratrice generale, secondo cui sussisterebbe un concreto pericolo di fuga. Il legale di Abedini Najafabadi presenterà una nuova memoria e una garanzia ufficiale del console iraniano, tornando a chiedere i domiciliari. Una decisione in tal senso verrà presa entro cinque giorni, con i giudici che dovranno esprimersi solo sulla sussistenza del pericolo di fuga, non sul merito delle accuse. È bene sottolineare, però, che, come prescritto dall’articolo 718 del Codice di procedura penale, il ministro della Giustizia potrebbe comunque chiedere la revoca delle misure cautelari disposte per chi è in attesa di estradizione (un procedimento che ha tempi ben più lunghi).
Per farla breve, il ministro Carlo Nordio potrebbe “liberare” il cittadino iraniano, a prescindere dalla decisione dei giudici. Si tratterebbe di una decisione politica, dunque, come avvenuto in altre situazioni del passato e come contemplato dallo stesso Codice di procedura penale, che non a caso lascia al governo tale discrezionalità. Una scelta in tal senso, ovviamente, avrebbe delle conseguenze importanti. Da un certo punto di vista, il governo italiano mostrerebbe di cedere al “ricatto” iraniano e indisporrebbe gli alleati statunitensi, che hanno fatto sapere di considerare pericoloso l’ingegnere iraniano e spingono per l’estradizione. D'altro canto, però, la decisione italiana potrebbe basarsi proprio su considerazioni di tipo giuridico. Le leggi violate dall’iraniano sono soltanto nell’ordinamento americano ed è tutta da provare la sua appartenenza al Corpo delle Guardie rivoluzionarie (che peraltro l’Italia non riconosce come organizzazione terroristica). Non è un fattore di poco conto, dal momento che l’estradizione è condizionata al requisito della cosiddetta doppia incriminazione: ovvero la sussistenza della specifica previsione di reato sia nella legge penale italiana che in quella dello stato che la chiede. Le stesse modalità con cui è stato fermato e sottoposto a regime detentivo Abedini, poi, hanno destato una certa perplessità, e non a caso sono state utilizzate strumentalmente anche dalla diplomazia iraniana nelle interlocuzioni con gli omologhi italiani.
Come uscirne, dunque? Mentre prosegue il lavoro sottotraccia di diplomazia e servizi segreti, da giorni a Chigi si vagliano le poche opzioni sul tavolo. Una delle ipotesi è che Meloni ponga la questione direttamente al presidente uscente Biden, nel corso della sua prossima visita in Italia (l’11 gennaio). Non a caso, lo spin consegnato ai giornali verteva sulla necessità di risolvere la questione prima dell’insediamento di Trump, previsto per il 20 gennaio. Difficile, però, aspettarsi un via libera alla liberazione di Abedini, dal momento che l’inchiesta della magistratura statunitense ipotizza che le azioni dell’ingegnere abbiano contribuito a rendere possibile un attacco dei Pasdaran in cui hanno perso la vita tre soldati americani. In poche parole, probabilmente non saranno gli americani a darci una mano in questa situazione. Con gli iraniani, invece, toccherà continuare a parlare, magari con il supporto delle istituzioni europee. La strada per uscire dall'impasse è sì stretta, ma è interesse di tutti percorrerla.
Anche perché, in ogni caso, la scarcerazione dell'iraniano (per decisione dei giudici o di Nordio) sarebbe solo il primo di una serie di passaggi necessari per risolvere la vicenda Sala. Che passerà per un intenso lavoro diplomatico con USA e Iran che, in questa fase, la famiglia ritiene possa essere ostacolato dalla mobilitazione dei cittadini e della stampa. Una scelta che anche noi rispetteremo, pur nella necessità di continuare a informarvi degli sviluppi fattuali.