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La denuncia degli infermieri: “Avevamo bisogno di maggior tutela. Ora invece contiamo i morti”

“Il sistema sanitario sarà costretto a cambiare dopo l’emergenza”: il segretario nazionale di Nursind, Sindacato delle Professioni Infermieristiche, fa il punto con Fanpage.it sull’emergenza coronavirus, raccontando le difficoltà che gli infermieri devono affrontare ogni giorno sul lavoro, tra l’assenza di mascherine, direttive contrastanti e mancanza di personale specializzato.
A cura di Annalisa Girardi
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In Italia il numero di contagi tra medici e infermieri è altissimo. "L'alto tasso di contagio secondo noi è dovuto a una serie di cose: la prima è il fatto che non ci siano state direttive chiare dall'inizio, contrastanti tra livello nazionale e livello regionale, ma anche a livello locale", ha denunciato a Fanpage.it Andrea Bottega, segretario nazionale di Nursind, Sindacato delle Professioni Infermieristiche. Un esempio lampante dell'assenza di organizzazione e coordinamento, ci racconta Bottega, è quanto accaduto in un ospedale in Sicilia il 7 marzo scorso: "Un dirigente sanitario il 7 marzo vietava l'utilizzo delle mascherine al personale dell'ospedale per non agitare e impressionare i pazienti. L'8 marzo la zona rossa è stata dichiarata in tutto il territorio nazionaleQuindi disposizioni diverse e poco chiare, che  hanno fatto sì che non si prendessero tutte le precauzioni necessarie".

Ma l'assenza di indicazioni da parte delle autorità sanitarie non è stato l'unico fattore a causare così tanti contagi tra medici e infermieri: "Secondo problema: i tamponi. Ancora oggi si continua a fare il tampone tra il personale sanitario solo a chi ha la temperatura più alta di 37.5. Ma sappiamo bene che ci possono essere i casi asintomatici che comunque trasmettono il virus". E lancia l'appello: "Bisogna tutelare in prima istanza i sanitari, perché se il virus arriva a contagiare medici e infermieri non ci saranno più abbastanza persone capaci di curare gli infetti".

"È stato perso tempo prezioso"

Inizialmente, spiega Bottega, venivano fatti pochi tamponi al personale sanitario per paura di rimanere senza medici e infermieri, ma c'è anche un altro fattore da considerare. "Abbiamo avuto la fortuna di essere il primo Paese occidentale a riconoscere la portata dell'infezione da coronavirus. Perché è stata una fortuna? Perché in quel momento i mercati erano ancora aperti e potevamo rifornirci di tutto il materiale necessario. Ma abbiamo lasciato trascorrere tempo prezioso e il problema è diventato mondiale con la dichiarazione dell'Oms della pandemia: quando ci siamo rivolti al mercato a chiedere tamponi, macchinari e le mascherine, abbiamo trovato tutto chiuso, con i Paesi produttori (e l'Italia non è tra questi) che tenevano questi prodotti per sè".

È stato quindi impossibile rifornire gli ospedali del materiale necessario. Sulle mascherine c'è da aprire un capitolo a parte. Nursind, che fa parte della Global Nurses United, l'unione dei sindacati infermieristici di 28 Paesi del mondo, a livello globale ha denunciato all'Oms le problematiche dell'utilizzo in ambito sanitario della mascherina chirurgica, inizialmente utilizzata nei reparti dove si combatteva il Covid-19: "È un dispositivo medico, che ad esempio va usato durante un intervento chirurgico per non contaminare il campo operatorio. Ma non serve per proteggere da agenti virali. Ma ci hanno spacciato fin dall'inizio che la mascherina chirurgica bastasse a proteggerci. Questo in una situazione in cui non conoscevamo l'agente patogeno: sapevamo che fosse il coronavirus, ma non conoscevamo ancora come si propagasse. Avevamo bisogno di maggior tutela ma questa non ci è stata fornita. Ecco perché un grande numero di personale di infettato e ora contiamo i morti".

Non solo mascherine: insufficienti i tamponi effettuati

Si è parlato molto anche della possibilità di effettuare test sierologici sul personale sanitario, in modo da proteggerli ed evitare allo stesso tempo che gli ospedali diventino focolai. "Ne va studiata l'attendibilità. E comunque va fatto il combinato disposto: va fatto sia il tampone, che ti dice se si è positivi e se si è in grado di veicolare il virus, sia l'esame del sangue che vede se si sono sviluppate le difese immunitarie. Ma queste evidenziano solo il passaggio del virus: è già passata quindi la malattia, e non è perciò detto che il soggetto sia infettivo per altri".

Come cambierà il sistema sanitario dopo la pandemia

Oltre a dover spesso lavorare in mancanza dei dispositivi di protezione e senza la possibilità di fare il tampone, gli infermieri stanno anche ricoprendo turni di lavoro massacranti da mesi. Nessuno poteva prevedere una pandemia di questa portata, ma è anche vero che in Italia la Sanità è stata sottoposta a tagli continui negli ultimi anni. Siamo stati costretti a fronteggiare l'epidemia di coronavirus dopo anni in cui le casse del settore sanitario hanno avuto a disposizione sempre meno risorse: "Il sistema sanitario sarà costretto a cambiare dopo l'emergenza. In alcune Regioni non erano nemmeno previste le terapie semi-intensive. Poi magari c'erano nella realtà, ma non esistevano sulla carta per non dover pagare le indennità contrattuali. Oggi ci siamo accorti che c'è maggiore bisogno di queste terapie intensive, sicuramente cambierà qualcosa in termini di assetti. Avremo magari dei sistemi diversi".

La necessità di cure sul territorio

Bottega prende quindi come esempio il sistema lombardo, che al centro pone l'ospedale ed è considerato un'eccellenza nazionale: "Nel momento in cui è esplosa la pandemia un sistema di questo tipo si è rilevato controproducente perché se le cure vengono centralizzate nell'ospedale non si fa altro che creare un focolaio nel quale si infetta un maggior numero di persone. Attualmente non essendoci punti di aggregazione, essendo in lockdown il Paese, i contatti avvengono nelle strutture sanitarie: e questo pone un problema abbiamo visto". E quindi lancia l'appello sulla necessità di assumere più infermieri specialistici: "Non abbiamo solo bisogno di infermieri, ma soprattutto di specialisti. Così come ci sarebbe bisogno di infermieri sul territorio: quello che abbiamo sempre detto, serve un infermiere di famiglia. Il modello veneto ad esempio, che è andato più a curare sul territorio che all'interno degli ospedali ha fatto sì che il contagio risultasse contenuto".

E denuncia come l'assenza di cure domiciliari abbia scalfito la qualità del sistema sanitario. Raccontando l'esperienza di chi, dopo settimane in isolamento domiciliare in cui veniva solo raccomandato di prendere della tachipirina per abbassare la febbre, ora dovrà fare i conti con i danni della convivenza prolungata della malattia: "Il virus, se non riceve alcuna cura se non quella sintomatica, lascia i segni. Bisogna che il sistema funzioni anche sul territorio. Qualcosa dovrà cambiare di sicuro dopo questa esperienza: e spero che non sia solo in termini di strutture ma anche di personale, soprattutto specializzato ".

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