Come ampiamente previsto, dopo l’approvazione della legge di bilancio è cominciata la vera e propria resa dei conti fra Matteo Renzi e Giuseppe Conte. L’espressione da film western non è casuale, dal momento che la componente personale ha giocato un ruolo centrale nella crisi che si è determinata in queste settimane e potrebbe rivelarsi decisiva per il suo epilogo.
L’ultimo capitolo di un duello cominciato mesi fa lo ha scritto Matteo Renzi con un’intervista al Messaggero in cui conferma la volontà di andare fino in fondo per archiviare questa esperienza di governo. “Conte ha sbagliato a chiudere così la verifica di governo” – spiega il senatore di Italia Viva – “noi abbiamo la schiena dritta e non cediamo sui contenuti in cambio di tre poltrone”. Il riferimento è a un passaggio della conferenza stampa di fine anno in cui il Presidente del Consiglio spiega di essere disposto ad andare in Parlamento per verificare il sostegno di cui gode; una scelta che Renzi giudica avventata: “Ha detto che verra' in Parlamento, ma se ha scelto di andare a contarsi in Aula accettiamo la sfida. […] Peraltro lo ha fatto dal pulpito di una conferenza stampa mentre il Senato votava per la prima volta una legge di bilancio il 30 dicembre senza possibilità di cambiarla. Uno scandalo istituzionale”.
Al netto delle parole di circostanza sulla possibilità che la crisi rientri, appare chiaro il senso del messaggio di Renzi: nella sua lettura, questa esperienza di governo è finita, bisogna cambiare e se alla guida del prossimo esecutivo ci sarà ancora Conte dipenderà dalle scelte che i singoli attori faranno nei prossimi giorni. Italia Viva, insomma, è pronta a ritirare i ministri, votare contro in Senato (non è chiarissimo come e quando), passare all’opposizione e attendere gli sviluppi: la convinzione del suo leader è che esistano alternative a Conte e alla maggioranza giallorossa e che il ritorno alle urne resti un’eventualità remota, stante la contrarietà della stragrande maggioranza delle forze politiche, della quasi totalità dei parlamentari (anche dei contiani grillini, che vedrebbero crollare i loro numeri alle urne) e del Presidente della Repubblica.
Il dibattito sulle posizioni del Colle, del resto, è particolarmente complesso. Se è noto che Mattarella abbia considerazioni opposte di Conte e Renzi (diciamo che la preferenza per “l’avvocato del popolo” è piuttosto chiara e nemmeno tanto nascosta), va rilevata l’ambiguità del passaggio più strettamente politico del suo discorso di fine anno. L’esortazione a non farsi guidare da “interessi di parte”, infatti, è ambivalente e si presta a diverse interpretazioni, al punto che gli stessi renziani stanno provando ad appropriarsene in relazione all’ostinazione di Conte a non cedere su questioni fondamentali, come la collegialità delle scelte sul NextGenUE e la delega sui servizi segreti (non a caso citata esplicitamente da Renzi nella sua intervista al Messaggero). Più realisticamente, Mattarella non può essere contento del modo in cui il Presidente del Consiglio sta gestendo questa fase, ma per il momento non farà mancare il suo sostegno a quella che è anche una sua creatura politica. I ritardi sul Recovery plan, gli errori sulla scuola e i primi intoppi nella campagna di vaccinazione (la stoccata a De Luca non è stata casuale) preoccupano il Colle che spinge per un cambio di passo che restituisca un orizzonte più ampio alla maggioranza e al governo. Se le cose andranno diversamente, nessuno esclude che Mattarella possa nuovamente prendere in mano la situazione.
E Conte? Ecco, analisti e commentatori restituiscono l’idea di un Presidente stretto fra chi predica prudenza e chi spinge per forzare la mano e formalizzare lo strappo. La tentazione di provare a replicare in Parlamento quanto fatto con Salvini è forte, ma il rischio di un fallimento è alto e, come detto, il Paese non sembra potersi permettere un azzardo di questo tipo. I numeri al Senato sono più che preoccupanti: il gruppo Italia Viva – PSI può contare su 18 senatori e, dato il margine risicatissimo, non è pensabile farne a meno, anche ipotizzando che qualcuno scelga di non seguire fino in fondo Renzi. Da tempo si racconta di pontieri al lavoro per trovare un gruppetto di “responsabili” tra le fila di Forza Italia, del Misto o addirittura della Lega, ma è difficile ipotizzare che Conte possa gestire una fase cruciale per il Paese con la terza operazione di trasformismo politico (e da una posizione di indubbia debolezza). Insomma, anche ammesso che Conte scelga la prova di forza in Parlamento e che la spunti, il problema della solidità e compattezza della maggioranza resterebbe o addirittura peggiorerebbe.
Inoltre, c’è da considerare che restano freddi i rapporti fra il capo dell’esecutivo e il Partito Democratico, le cui richieste restano inevase ormai da mesi. Zingaretti chiede un ripensamento della regia e degli obiettivi, consapevole che l’immobilismo sia un problema soprattutto per gli elettori democratici e che alcuni ministri abbiano ampiamente mostrato di essere inadeguati a traghettare il Paese oltre la pandemia. La domanda che circola tra i maggiorenti dem è più o meno la stessa da settimane: Renzi è inaffidabile, ma davvero siamo disposti a far crollare tutto e lasciare il Paese ai tecnici (o alla destra) per salvare Conte ma soprattutto questa squadra di governo?
Una risposta prima o poi bisognerà trovarla, anche perché il 7 gennaio è vicino e che questo governo, con questa squadra e questa guida, possa andare oltre sembra più che improbabile.