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Opinioni

La crisi di governo e il Papeete di Natale: di cosa stiamo parlando

Non ci sarà alcun Papeete di Natale, ovvero un suicidio politico da parte di una forza che compone la maggioranza, ma la crisi del progetto guidato da Giuseppe Conte è ormai un dato di fatto. Subito dopo il via libera alla legge di bilancio, insomma, dobbiamo aspettarci uno scossone: proviamo a capire di che entità e con quali conseguenze.
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Sono giorni piuttosto convulsi nelle stanze dei bottoni e nei corridoi dei palazzi romani, dove si inseguono voci, indiscrezioni e spifferi di vario tipo. Oggi, per esempio, il barometro indica: nessun Papeete di Natale, ma un cambiamento radicale di metodi, priorità e soprattutto uomini e donne nelle posizioni di vertice. Ieri indicava venti impetuosi di crisi, domani chissà. Però, che la prima fase del Conte bis si sia esaurita è opinione comune, condivisa ormai anche dallo stesso Presidente del Consiglio, il quale ha resistito per settimane alle pressioni e alle manovrine dei soliti noti, ma ha finito per arrendersi di fronte all’evidenza dei numeri in Parlamento e alla portata del dissenso interno alla sua maggioranza. Insomma, per farla breve: dopo il via libera alla legge di bilancio c’è da attendersi un cambiamento sensibile delle gerarchie e delle strategie nei palazzi del potere. Il problema vero non è soltanto che le perplessità (eufemismo) di Matteo Renzi siano condivise a vari livelli da altri esponenti di primo piano della maggioranza, ma anche che si stia riducendo giorno dopo giorno l’elenco di coloro che sarebbero disposti a immolarsi per questa squadra di governo e per questa piattaforma politica.

Il leader di Italia Viva da giorni bombarda l’esecutivo e non solo sulla gestione dei fondi del Recovery Fund. La veemenza e il tempismo degli attacchi, in piena negoziazione europea e a pochi giorni dall’approdo alla Camera della legge di bilancio, hanno spiazzato i fedelissimi di Conte, che temono che questa volta Renzi voglia davvero andare fino in fondo. Lui si smarca e ai suoi confida di non voler “essere costretto” a strappare, ma ribadisce che così non si può andare avanti e che sulla cabina di regia (e in generale sulla struttura parallela) per la gestione dei fondi del Next Generation UE e sul MES per le spese sanitarie non ha alcuna intenzione di fare passi indietro.

La posizione di Renzi stavolta fa gioco anche alla strategia del segretario del Partito Democratico Zingaretti, che ha un ulteriore argomento per sollecitare (eufemismo anche questo) un riequilibrio interno al governo, in modo da tener conto non solo del mutato rapporto di forze con i 5 Stelle, ma anche dei limiti della squadra scelta da Conte per gestire una fase complicatissima per il Paese. Tradotto in altri termini: il PD vuole più ministri, più responsabilità e un cambiamento di indirizzo politico dell’esecutivo su questioni cardine come scuola, infrastrutture, opere pubbliche e politiche del lavoro. Non è un caso che Zingaretti parli apertamente di “rilancio e ripartenza”, sottolineando che “questa esigenza è avvertita da tutti, dal Pd, dai 5 Stelle, da Italia viva, da Leu e, sono convinto, anche dal presidente Conte” (intervista di domenica 13 dicembre al Corriere della Sera). E se è vero che nessuno vuole la crisi di governo (Andrea Orlando ha spiegato di considerare folle l’idea di un “Papeete di Natale”, Boccia ha ribadito il no a salti nel buio, Marcucci ha aggiunto che “pensare alle elezioni in piena campagna di vaccinazione, con il Recovery Plan da gestire, e in vista del semestre bianco, è da sconsiderati"), allo stesso tempo per i democratici è finito il tempo delle attese: non si può non prendere atto del fatto che le cose non stiano funzionando, non si può governare senza una maggioranza solida al Senato e non si può andare avanti con colpi di mano e decisioni unilaterali ancora a lungo. Una fase è finita, un’altra deve necessariamente cominciare.

Nel Movimento 5 Stelle, al solito, le cose sono un po’ più complicate. Da tempo non c’è una linea politica unica e la stragrande maggioranza dei parlamentari ha in Conte l’unico punto di riferimento. La scelta di dotarsi di uno strumento collegiale per le decisioni e la rappresentanza, se legittima sul piano dell’organizzazione interna, ha finito per indebolire la voce grillina all’interno della maggioranza: a ciò si somma la lenta ma costante emorragia di consensi nel Paese e lo stillicidio di abbandoni dei gruppi parlamentari a Camera, Senato e perfino in UE. Crimi ha fatto il possibile, ma è evidente la posizione di debolezza della rappresentanza 5 Stelle tra Di Maio, Di Battista, i contiani e la consistente truppa di eletti pronti a “qualunque scelta” pur di conservare un seggio che, realisticamente, non vedranno mai più nella vita. L’ultima mediazione sul MES, poi, ha evidenziato il sempre crescente affanno nel controllare i gruppi parlamentari: insomma, i 5 Stelle sono in una posizione di evidente debolezza, che sta logorando proprio la figura di Conte.

Come si esce da questa situazione, insomma? Come si costruisce un’alternativa solida per gestire una fase decisiva per il futuro del Paese, tra terza ondata, piano vaccini e ripartenza? Le strade sono tre, o meglio tre e mezza: il ritorno alle urne, il rimpasto di governo, una nuova maggioranza (con o senza Conte).

A chiedere sul serio il ritorno alle urne sono in pochi, pochissimi: probabilmente solo Giorgia Meloni, che infatti non ha nascosto la propria irritazione per le aperture di Salvini a Conte e alla maggioranza. Difficile poi che Mattarella si assuma la responsabilità di indire una consultazione in piena pandemia e con una legge elettorale che potrebbe determinare un nuovo stallo in Parlamento.

Il rimpasto di governo è più di un’eventualità: è la condizione necessaria ma non sufficiente per il prosieguo del Conte bis. Da tempo il PD chiede un ricambio in alcuni dicasteri, ora è il momento di passare all’incasso: scuola e lavoro, prima di tutto, ma l’obiettivo principale resta quello di porre un argine al decisionismo di Conte. È per questo che tornerà sul tavolo la proposta di un vice da affiancare al Presidente del Consiglio, ipotesi scartata lo scorso anno dopo un lungo tira e molla coi grillini, che però ora non hanno più la forza di opporsi e potrebbero cedere, dietro “opportune garanzie”, ovvero la conferma di alcuni pilastri come la riforma della giustizia, il reddito di cittadinanza e il no all'attivazione del MES.

Al rimpasto è legata anche l’eventualità di un allargamento della maggioranza a sostegno di Conte, strada che auspicano pubblicamente esponenti di primo piano del Partito Democratico e che non è esclusa a priori dai vertici dei 5 Stelle. Inutile girarci intorno, continuare con questo assetto significherebbe rischiare voto su voto al Senato, un pantano senza fine che gli italiani non possono permettersi. Dunque, da tempo si ragiona sul “soccorso azzurro”, ovvero un gruppetto in uscita da Forza Italia (avventura autorizzata da Berlusconi, si capisce) che supporti Conte in cambio di un mutamento di approccio: più collegialità nelle scelte, rinuncia a forzature e accelerazioni (niente Dpcm, meno decreti, allargamento dello spoil system per le nomine di primavera ecc.), garanzia della condivisione del nome per il Quirinale. La copertura politica ufficiale sarebbe "coalizione Ursula", ovvero la riproposizione dell'asse che a livello UE ha eletto la Von der Leyen e la conferma della forte collocazione europeista dell'esecutivo: garante dell'intera operazione solo e soltanto Giuseppe Conte.

Se allargare la maggioranza resta opzione valida, non va scartata neanche l’ipotesi di cambiarla completamente. Un campo largo (Calenda lo chiama “gabinetto di guerra”, altri rilanciano le parole “esecutivo di responsabilità nazionale”), che terrebbe dentro la quasi totalità delle forze politiche, probabilmente con la sola esclusione di Fratelli d’Italia e dei puristi grillini, con il compito di traghettare il Paese alle elezioni ma solo dopo aver messo in sicurezza il piano di ripartenza e gestito la fase di uscita dalla pandemia. Appare molto difficile che sia Conte a gestire una transizione del genere, dunque la scelta potrebbe ricadere su un tecnico, oppure su un nome “buono” per la Lega, i cui voti sarebbero fondamentali per la riuscita dell’esperimento. Strada strettissima, ma giorno dopo giorno più concreta.

Il Papeete di Natale

L'espressione è sicuramente affascinante, ma non è poi così chiarissimo di cosa si stia parlando. Atteso che PD e M5s non hanno alcuna intenzione di operare strappi clamorosi e che quello di Renzi sia un altro penultimatum, l'unica eventualità che si ripeta quanto accaduto ad agosto del 2019 è legata a una specie di suicidio politico di Giuseppe Conte. Se il Presidente del Consiglio decidesse di tenere il punto e di rispondere picche sia a Renzi (su MES, Recovery Fund e collegialità nelle scelte) che al PD (su rimpasto e garanzie), a quel punto si materializzerebbero le condizioni per un redde rationem in Parlamento e nelle altre sedi istituzionali, con conseguenze non prevedibili, anche considerando l'appoggio che il Capo dello Stato ha sempre dato all'attuale reggente di Chigi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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