La conferma arriva direttamente dal presidente del Consiglio Enrico Letta: "Per quanto riguarda le riforme istituzionali, si lavori sulla procedura dell'attuale articolo 138 della Costituzione". È la certificazione del fallimento del disegno di legge costituzionale di delega al Governo per le riforme che avrebbe consentito al comitato dei saggi di procedere sulla strada delle riforme costituzionali in (parziale) deroga all'articolo 138 della Carta. In sostanza, il ddl (approvato in terza lettura dal Senato) istituiva il Comitato parlamentare per le riforme “composto di venti senatori e venti deputati, nominati dai Presidenti delle Camere, d’intesa tra loro, tra i membri, rispettivamente, delle Commissioni permanenti competenti per gli affari costituzionali del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati". Tale comitato avrebbe esaminato "i progetti di legge di revisione costituzionale degli articoli di cui ai titoli I, II, III e V della parte II della Costituzione", con un accorciamento dei tempi solitamente previsti. Per onor di cronaca va specificato che in nessun caso sarebbe stato possibile "evitare" il referendum confermativo, dal momento che, come si leggeva nel ddl "potrà essere richiesto da un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, anche qualora siano state approvate nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti".
La constatazione di Letta si basa su una serie di considerazioni che rimandano ovviamente allo strappo interno alla maggioranza e che sostanzialmente impedirebbero al ddl di ottenere il consenso dei due terzi del Parlamento. Ma non solo, perché è chiaro che a cadere è anche la legittimazione politica del percorso di modifica costituzionale, con la fine delle larghe intese e la nascita di un esecutivo più strettamente politico. Lo stesso Matteo Renzi, del resto, si era espresso in maniera netta (prima e) subito dopo la vittoria elettorale, spiegando come non fosse in alcun modo necessario il lavoro di un altro organismo e come il Parlamento avesse tutti gli strumenti per procedere in maniera autonoma. E proprio in tal senso il segretario del Pd (lo diventerà ufficialmente domenica 15) starebbe pensando alle eventuali convergenze col M5S, come scrive Il Fatto: "Un patto dove si giocano le riforme e il cambiamento in sei mesi di tutto il sistema politico italiano: legge elettorale maggioritaria, riforma del titolo V della Costituzione, abolizione del Senato e del finanziamento pubblico ai partiti".
Per il momento dal Movimento 5 Stelle arriva solo la "soddisfazione" per aver bloccato il percorso del Comitato parlamentare grazie ad un ostruzionismo che ha permesso di ritardare la discussione in Aula, fino alla fine delle larghe intese e allo strappo nella maggioranza. I toni sono trionfalistici, la chiosa è "abbiamo salvato la Costituzione": "Il MoVimento 5 Stelle ha vinto la sua battaglia contro i partiti che volevano cambiare illegalmente la Costituzione. Ad ammettere la sconfitta è stato ieri lo stesso Letta: "Si lavori sulla procedura dell'attuale articolo 138 della Costituzione". Era esattamente ciò che chiedevamo. Abbiamo aspettato a cantare vittoria, e lo abbiamo fatto perché volevamo vedere chi nella stampa coglieva l'ammissione di questa disfatta. Disfatta che arriva solo grazie al M5S. Se non avessimo fatto slittare di un mese da agosto a settembre questa scellerata volontà dei partiti, se non fossimo saliti sul tetto di Montecitorio per sensibilizzare i cittadini su quanto stava accadendo, se tutto il MoVimento non si fosse unito in uno sforzo comune coinvolgendo l'Italia intera, a quest'ora la riforma della Costituzione avrebbe fatto in tempo a passare, giusto giusto trenta secondi prima del passaggio di Berlusconi all'opposizione. E invece, ora non hanno più i numeri.Il fallimento di Letta tradisce anche una clamorosa autoaccusa: l'iter di modifica scelto era palesemente incostituzionale. Dopo il Porcellum, dopo i soldi ai partiti, anche la riforma della Costituzione era abusiva. E poi ancora qualcuno si chiede cosa stiamo facendo per l'Italia? Risposta facile: abbiamo salvato la Costituzione. Insieme a migliaia di cittadini."
Tecnicamente non si tratta della fine del percorso di riforme istituzionali, anche se è evidente il fallimento del progetto immaginato da Napolitano e sostenuto da Letta e Alfano. Ed è una sconfitta politica molto rilevante, perché nei fatti sarà molto complesso trovare di volta in volta linee comuni ed impianti condivisi. Soprattutto in presenza di forti contrapposizioni e di tensioni che rimandano ad interessi in termini di consenso elettorale. Il Parlamento, in condizioni molto diverse dalle precedenti, proverà ad impostare un percorso di tipo tradizionale, sulla scorta dell'articolo 138:
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.