La corsa al riarmo della Nato può fare male all’economia italiana, secondo l’agenzia Moody’s
Se i Paesi della Nato inizieranno a investire sempre di più in armamenti e altre spese militari, le economie europee che hanno un debito pubblico più alto – soprattutto Spagna e Italia – ne pagheranno le conseguenze. A sostenerlo è l'agenzia di rating statunitense Moody's, in un report diffuso ieri. L'indicazione di Moody's è che la spesa per il riarmo "complicherà gli sforzi di riduzione del debito e potrebbe indebolire il loro profilo di credito", fino ad aumentare anche i problemi sociali. "Spagna e Italia sono particolarmente vulnerabili", perché hanno "i maggiori gap nella spesa per difesa (rispetto all'obiettivo Nato del 2% del Pil, ndr) e i livelli più bassi di sostegno popolare a ulteriori aumenti di spesa militare".
Insomma, l'idea è che se la Nato punterà sempre di più sugli investimenti bellici, tutti i Paesi saranno chiamati a rispettare il loro impegno di investire il 2% del Pil in spese militari. Un obiettivo particolarmente complicato per Paesi che oggi sono lontani da quella soglia, come l'Italia. Circa un anno fa Giorgia Meloni aveva confermato l'intenzione di aumentare le spese militari, anche se non era chiaro da dove avrebbe preso i soldi.
Pochi mesi dopo, al vertice Nato di luglio, sempre Meloni aveva fatto un mezzo passo indietro, sottolineando che bisogna anche considerare "la progressione, la sostenibilità, la responsabilità e la partecipazione al funzionamento dell'Alleanza che ogni alleato assume". Come a dire, dato che l'Italia gioca già un ruolo importante nella Nato su altri aspetti (come le missioni di pace) non ci si può aspettare che arrivi in fretta a investire anche il 2% del Pil.
L'Italia da anni ha un debito pubblico altissimo, e secondo i calcoli fatti dallo stesso governo Meloni la situazione non migliorerà nei prossimi anni. Moody's ha calcolato che se si cercasse di investire davvero il 2% in spese militari il debito italiano arriverebbe a essere pari al 144% del Pil nel 2030, mentre se si provasse ad arrivare fino al 4% (come avvenuto in alcuni periodi della Guerra fredda) questa percentuale al 147%. Vicino ai "picchi visti durante la pandemia".
A guadagnarci sarebbero le aziende produttrici di armi, ma per lo Stato sarebbe una situazione difficile da gestire. Servirebbero quindi misure alternative, per aumentare le entrate o tagliare le spese. E qui scatterebbe il secondo problema: il fatto che l'Italia è tra i Paesi con "i livelli più bassi di sostegno popolare a ulteriori aumenti di spesa militare". Insomma, la popolazione italiana sarebbe tra le più ostili a sostenere nuovi tagli per andare incontro a nuove spese belliche. E questo non farebbe che aumentare le tensioni sociali, creando ulteriori problemi nel caso in cui l'aumento del riarmo proseguisse a lungo.