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La Cassazione dice che la Libia non è un porto sicuro e riportare lì i migranti è reato

Sentenza molto attesa della Corte di Cassazione, che riconosce che la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco delle persone migranti. E, di fatto, dà ragione alle Ong che da anni rifiutano di collaborare con la cosiddetta Guardia costiera libica. Ora anche gli accordi politici Italia-Libia potrebbero finire in discussione.
A cura di Luca Pons
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La Corte di Cassazione ha sancito che consegnare persone migranti alla cosiddetta Guardia costiera libica è reato, perché il Paese non è un posto sicuro. La Suprema corte così ha confermato di fatto ciò che le associazioni che operano nel settore del soccorso in mare sostengono da anni: la Libia non è un luogo in cui si può garantire il rispetto dei diritti umani delle persone migranti.

Il caso che ha portato alla sentenza è quella del rimorchiatore Asso 28, che il 30 luglio del 2018 si trovò a soccorrere un gommone con 101 persone migranti – tra cui anche donne incinte e minori al di sotto dei 14 anni – nel Mediterraneo. Dopo averle fatte salire a bordo, però, le riportò verso la Libia consegnandole alla Guardia costiera di Tripoli. Non furono avvisati i centri di coordinamento e soccorso, e non furono attivate le procedure del caso. Tanto meno fu chiesto alle persone sul gommone se intendessero fare domanda di asilo. Ora, il comandante della nave è stato condannato in via definitiva per due reati previsti dal Codice di navigazione: quello di abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e quello di sbarco e abbandono arbitrario di persone.

Fu un vero e proprio "respingimento collettivo", un abbandono di individui che si trovavano in pericolo, mentre il Codice indica che in situazioni simili si debbano accompagnare le persone in un luogo sicuro. Portarle in Libia, invece, fu di fatto un respingimento collettivo verso un "porto non sicuro" – cosa vietata dalla Convenzione europea per i diritti umani. Un Paese in cui c'era il forte rischio di essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti nei centri di detenzione per stranieri.

La sentenza sancisce che la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco delle persone migranti. Nonostante questo, da anni l'Italia rinnova periodicamente un memorandum con il governo libico per finanziare la sua cosiddetta Guardia costiera in cambio dell'impegno a contenere i flussi di persone migranti. L'anno scorso, il governo Meloni ha sottoscritto un nuovo accordo per aumentare la collaborazione con la Libia in materia di sicurezza.

Con tutta probabilità, questa sentenza della Cassazione avrà un effetto sui futuri procedimenti legali nei tribunali italiani che riguarderanno la condizione delle persone migranti in Libia. Anche perché conferma il fatto che collaborare con la cosiddetta Guardia costiera libica non solo non è una pratica da seguire, ma è un vero e proprio reato.

La Ong Sea-Watch, che opera nel Mediterraneo, ha commentato: "Una sentenza inequivocabile. Crolla il castello di carte costruito dalle politiche italiane ed europee che hanno istituzionalizzato la pratica dei respingimenti collettivi con l’accordo con la Libia del 2017". Si annunciano, peraltro, anche i ricorsi di quelle Ong che sono state sanzionate per non aver seguito le indicazioni della cosiddetta Guardia costiera libica.

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