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La cannabis terapeutica non è un diritto per tutti: per i malati spesso c’è solo il mercato nero

La cannabis terapeutica non è assicurata a tutti i malati, anche se dovrebbe essere garantita per legge. Per i pazienti i costi sono onerosi e la produzione all’interno dello stabilimento militare di Firenze è insufficiente.
A cura di Annalisa Cangemi
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La cannabis terapeutica non è un diritto per tutti i malati. In un'audizione di qualche giorno fa il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto sapere che lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze ha ampliato la produzione di medicinali vegetali a base di cannabis: "La produzione nel 2022 è stata pari a 300 kg e sono stati autorizzati ulteriori investimenti che permettono di portare la produzione a 700 kg annui – ha spiegato il ministro – Lo stabilimento provvede anche all'importazione dall'estero: nel 2022 sono stati importati circa 150 kg e nel 2023 è stata aggiudicata una gara internazionale per l'importazione fino a 1200 kg". Ma non basta a garantire le cure per chi ne ha bisogno.

In Italia, come ricorda Il Fatto Quotidiano, dal 2006 i medici possono prescrivere per uso sanitario preparazioni magistrali (cioè medicinali preparati in farmacia in base ad una prescrizione medica destinata ad un particolare paziente) contenenti sostanze attive a base di cannabis. La sostanza, in base al Testo Unico sulle droghe 309 del 1990, può essere coltivata dietro autorizzazione di un organismo nazionale ad hoc. Dal 2007 è possibile importare alcune varietà di cannabis terapeutica, e dopo un accordo tra i Ministeri di Salute e Difesa del settembre 2014, le infiorescenze per le preparazioni galeniche possono essere prodotte anche dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze.

Associazioni e pazienti, in un sit-in davanti al ministero della Salute lo scorso 16 febbraio, hanno denunciato le criticità del sistema, chiedendo al governo di autorizzare anche la coltivazione casalinga per chi è malato, perché la cannabis che viene prodotta nello stabilimento militare di Firenze è insufficiente: "Con la scomparsa dell’amico Walter De Benedetto evidente è la certezza che l'unica soluzione a problemi che da anni denunciamo e più volte sottolineato in incontri istituzionali, è concedere l’autorizzazione alla coltivazione ( Art 17 Dpr 309/90) a chiunque necessita curarsi, normalizzando il ruolo delle associazioni che da anni aiutano i malati a divincolarsi nella burocrazia".

La vicenda di Walter De Benedetto è emblematica. Affetto da una forma severa di artrite reumatoide per più di 35 anni, era finito sotto processo per aver coltivato la pianta, visto che la ASL di Arezzo non era in grado di garantirgli la quantità a lui necessaria per la sua terapia. Dopo diversi appelli rimasti inascoltati è morto a maggio dell'anno scorso.

Associazioni e pazienti, a causa dell'inazione del Parlamento sul tema della legalizzazione – dopo che un referendum sul tema è stato bloccato dalla Corte Costituzionale – hanno detto di "essere costrette alla disobbedienza civile, all'autoproduzione, e poi ad autodenunciarsi, perché questa oggi è l’unica soluzione" per tante persone, che poi subiscono processi oppure devono rifornirsi sul mercato nero.

Oltre alla carenza di prodotto c'è anche una differenza tra le Regioni nell'applicazione delle norme, oltre a un problema di costi. Perché è vero, sottolinea il Fatto Quotidiano, che la cannabis terapeutica può essere prescritta da un qualsiasi medico per qualsiasi patologia per la quale esista una letteratura scientifica accreditata, ma il paziente deve poi pagarsela di tasca sua. Questo avviene nella maggior parte delle Regioni, tranne in rari casi, come la Puglia o la Toscana, dove sono previsti rimborsi.

"Servirebbe liberalizzare l’importazione e consentire che altri soggetti pubblici o privati, oltre allo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze, entrino nella produzione", ha detto l’ex senatore Marco Perduca, dell'associazione Coscioni. "Basta con l’esperimento pilota di Firenze, deve terminare perché si è rivelato uno spreco di soldi pubblici. E non c’è la giusta trasparenza sui fondi dei contribuenti", ha aggiunto Carlo Monaco, dell'associazione romana ‘Canapa Caffè'.

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