Nella serata di ieri, durante la trasmissione "Di Martedì" condotta da Giovanni Floris su La7, l'ex presidente del Consiglio e attuale segretario del Partito Democratico Matteo Renzi ha mandato un sms al conduttore, nel quale sostanzialmente dichiarava di essere intenzionato ad andare a elezioni anticipate prima della scadenza naturale di mandato. "Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L'unica cosa è evitare che scattino i vitalizi perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini. Sarebbe assurdo", recitava il messaggio inviato da Matteo Renzi. A prima vista, sembra non esserci alcun tipo di problema in questo sms, ma in realtà approfondendo un attimo la questione salta agli occhi un errore marchiano contenuto nella seconda parte del messaggio. Il limite a cui Renzi si riferisce è settembre 2017, quando saranno passati 4 anni e 6 mesi dall'inizio della legislatura cominciata nel febbraio 2013. Questa data è emblematica principalmente per un motivo: dal 15 settembre 2017 i parlamentari eletti nella scorsa tornata elettorale matureranno il diritto alla pensione parlamentare, pensione che però non è affatto un "vitalizio", come lo definisce Matteo Renzi.
I vitalizi parlamentari, così come siamo sempre stati abituati a conoscerli, non esistono più nei fatti dal 2012. Nel 2011, sotto il governo Monti, vennero di fatto cancellati i vitalizi e trasformati in pensioni parlamentari. A prima vista potrebbe non essere una grande modifica, ma sostanzialmente invece i due trattamenti previdenziali sono estremamente differenti tra loro: i vitalizi parlamentari, così com'erano concepiti inizialmente, non erano calcolati su base contributiva e secondo i calcoli effettuati dall'Istituto Bruno Leoni, permettevano ai parlamentari ante-2011 di percepire una cifra circa 5 volte superiore a quanto realmente versato. Dopo l'avvenuta abolizione, però, i parlamentari eletti prima del 2011 hanno ancora diritto a percepire il loro trattamento pensionistico privilegiato perché sostanzialmente non è possibile toccare quello che nei fatti è un diritto acquisito. O meglio, potrebbe anche essere possibile, ma è difficile trovare il giusto bilanciamento senza violare i principi costituzionali e il ricorso è sempre pronto dietro l'angolo.
Con la riforma del 2011, la normativa previdenziale per i parlamentari cambia. Dal 2012, infatti, i parlamentari percepiscono una pensione su base contributiva, ciò significa che allo scadere dei 4 anni e 6 mesi di legislatura maturano il diritto a riscuotere il proprio trattamento pensionistico da percepire al compimento dei 65 anni d'età, che scendono fino a 60 per ogni anno extra oltre il minimo. Rispetto ai vecchi vitalizi, viene dunque modificato il metodo di calcolo della pensione, che viene calibrata agli effettivi versamenti di ogni onorevole. Per ogni legislatura portata a termine, dunque, il parlamentare ha diritto a circa 900 euro al mese di pensione. Nel caso in cui la legislatura dovesse terminare prima dei 4 anni e 6 mesi, il parlamentare non maturerebbe né il diritto alla pensione né avrebbe diritto alla restituzione degli importi versati. Secondo i calcoli di Openpolis, nel caso in cui la legislatura dovesse terminare prima del 15 settembre 403 deputati e 193 senatori non maturerebbero il diritto alla pensione.
Per concludere, quindi, il messaggio di Matteo Renzi a Floris è una bufala, o fake news che dir si voglia, perché pone la questione utilizzando termini scorretti perché, come spiegato, i vitalizi non esistono più da molti anni.