Niente più bocciature a scuola, così è deciso. Gli effetti del cambiamento non si vedranno subito, solamente a partire dal prossimo anno scolastico, ma potrebbero essere oltremodo deleteri. In sostanza, in applicazione della Legge 107, la cosiddetta Buona Scuola, gli studenti di scuole elementari e medie non potranno più essere bocciati. No, in realtà detta così la notizia non è veritiera, il meccanismo di legge sarà leggermente differente: gli allievi delle scuole elementari potranno essere bocciati in caso di abbandono scolastico o per l'accumulo di troppi giorni di assenza e non per il mancato raggiungimento dei livelli di apprendimento considerati essenziali. Insomma, addio bocciature per profitto, saranno estremamente rare. Anche alle scuole medie la promozione sarà la prassi, tranne in caso di "parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline". In questi casi, il consiglio di classe potrà deliberare la bocciatura, ma solo dietro adeguata motivazione. Che cosa significa, in sostanza? Che gli alunni potranno essere promossi anche in presenza di insufficienze in una o più discipline, a patto che le scuole avviino percorsi di supporto per colmare le lacune. Ma esattamente, perché sarebbe un problema questa riforma?
È presto detto: la bocciatura, da che mondo è mondo, insegna. Insegna ai ragazzini che ci vuole impegno per raggiungere un obiettivo e che non bastano i favoritismi e le scuse per andare avanti. Chiunque sia stato bocciato può dire che sì, la delusione è sicuramente cocente ed è difficile da affrontare, ma che allo stesso tempo ha prodotto un risultato, una crescita personale. La bocciatura, sostengono molti, sarebbe discriminatoria. Discriminatoria perché in tanti casi il bocciato è un soggetto che proviene da contesti di disagio sociale. Un gruppo di docenti e pedagogisti, in una petizione lanciata attraverso Change.org qualche mese fa, sostenevano che i bambini bocciati alle scuole elementari fossero per la maggior parte "figli di immigrati, ragazzi meridionali provenienti dalle famiglie più povere, bambini rom", bambini che andrebbero dunque protetti e non puniti con una bocciatura. "La nostra scuola anche oggi perde il 15 % dei ragazzi e dietro questa percentuale noi vediamo i volti dei nostri bambini che non hanno certo bisogno di essere respinti ma di maggiori risorse umane, di insegnanti di sostegno formati, di educatori di strada, di una scuola più lenta, capace di ascoltare le esigenze di questi bambini, di captare le loro difficoltà e quelle delle loro famiglie", sostenevano.
Ma, c'è un ma, detto brutalmente: mandare avanti bambini e adolescenti che accumulano – e potenzialmente potrebbero continuare ad accumulare – lacune non produce alcun beneficio, ma anzi illude. Illude perché fa credere al bambino, e spesso alla famiglia, che non ci sia alcun problema da risolvere. La bocciatura non è una punizione, ma è una possibilità. La bocciatura dà al bambino o all'adolescente la possibilità di migliorarsi, di crescere, di apprendere, di imparare e di riparare agli errori. La bocciatura insegna. E, detto ancora più brutalmente, questa forma mentis che nel corso degli ultimi 20 anni ci ha portato a scambiare il diritto allo studio e all'istruzione – sacrosanto – con il diritto all'ottenimento del cosiddetto "pezzo di carta", sta solamente portando a un estremo abbassamento della qualità dell'istruzione.
Affrontai l'argomento qualche mese fa, in occasione della diffusione di una lettera di denuncia sottoscritta da 600 docenti universitari di tutta Italia, i quali segnalavano appunto un trend deleterio: gli studenti arrivano all'università senza essere in grado di scrivere e parlare un italiano corretto, con un bagaglio lessicale estremamente ridotto rispetto alle aspettative e senza conoscere le regole grammaticali di base. Da questo punto partiamo prendendo ad esempio le percentuali di promozione dei diplomandi italiani:
La maturità, soprattutto dagli anni '80 in poi, non è più vista come uno spauracchio o una prova difficoltosa, ma è diventata una sorta di banale passaggio obbligato che termina con la promozione del 99% degli studenti ammessi. Andando a ritroso, la percentuale di allievi promossi alla maturità negli anni '20 era del 60% circa, gradualmente salita al 70% negli anni '70, al 90% negli anni '80, per arrivare a sfiorare il 99,5% nel 2016, un inarrestabile trend sempre crescente.
In sostanza, anche la maturità sembra aver perso il proprio valore. In sostanza, basta frequentare le scuole superiori ed essere ammessi all'esame di Stato per essere praticamente certi della promozione. Lo stesso meccanismo che si vuole applicare alle scuole primarie e medie che però, a differenza delle superiori, dovrebbero essere il tassello fondamentale per la formazione delle competenze di base di ogni individuo. Ecco, il problema è proprio questo: pensare di poter "salvare" un bambino dalla cocente delusione di una bocciatura altro non produrrà che uno svantaggio per quello stesso bambino, perché il trend diventa inarrestabile e questo trend inarrestabile è già in atto e ne tocchiamo con mano le conseguenze anche all'università, come segnalato a suo tempo dai 600 professori.
Sempre i docenti del Gruppo di Firenze contestarono i cosiddetti "abolizionisti della bocciatura", spiegando che "la petizione si basa sul fatto che le bocciature non sono affatto eccezionali: 11.866 nell’anno scolastico 2014-15. Un numero che però, su 2.820.696 di alunni, rappresenta lo 0,4 %". "‘Figli di immigrati, ragazzi meridionali provenienti dalle famiglie più povere, bambini rom', dicono i firmatari. Sarà. La verità è che sui problemi della scuola si discute sempre senza la base di serie indagini, per esempio sui motivi che hanno spinto alcuni insegnanti a prendere queste decisioni. Certamente non a cuor leggero. […] Esiste da anni un’amplissima letteratura sui cosiddetti ‘bambini tiranni': quelli che a scuola sono insofferenti di ogni regola, si rifiutano di seguire le istruzioni delle maestre, pretendono di fare quello che vogliono, infastidiscono i compagni, interrompono di continuo le lezioni e di fronte ai richiami magari rispondono ‘Tanto non mi puoi fare niente!'. Da tempo una legione di psicologi e psicoterapeuti raccomanda, proprio nell’interesse di questi bambini arrabbiati, di farli precocemente incontrare, in famiglia prima ancora che a scuola, con le esigenze imposte dalla realtà, cioè con il fatto che esistono anche gli altri e che alcune cose non si possono ottenere, altre sì, ma solo con l’impegno e un po’ di fatica".
Per ridare dignità alla scuola occorrerebbe rendere il percorso di studi più serio – e anche difficoltoso – abbandonando quest'idea utopicamente sessantottina che confonde il diritto all'istruzione con il diritto alla promozione d'ufficio per tutti. Che non esiste risultato senza impegno, questo bisognerebbe insegnare ai bambini per aiutarli a crescere, non mettendoli sotto una campana di vetro nel tentativo di proteggerli dalle delusioni, delusioni che inevitabilmente dovranno imparare – prima o poi – ad affrontare.