I funerali di Silvio Berlusconi sono stati un evento peculiare della storia italiana recente. Una giornata che ha condensato in modo perfetto la parabola di un’esperienza di vita unica. Le celebrazioni in morte di Silvio Berlusconi hanno invaso la quotidianità degli italiani così come per decenni avevano fatto le sue azioni in vita. Per l’uomo che aveva spettacolarizzato ogni aspetto della propria esistenza, elevando a scienza il culto dell’immagine, non era immaginabile un saluto sobrio e riservato. E forse non sarebbe stato neanche giusto. Del resto, dimensione pubblica e privata, nella sua esperienza, si sono sempre confuse, sovrapposte, interscambiate. Quello di oggi è stato un saluto a un'icona, una bandiera, un simbolo: esattamente ciò che il Cavaliere è sempre stato per la sua gente. E solo le regole stringenti del cerimoniale hanno impedito che il funerale debordasse in un profluvio di parole, interventi, esternazioni di dolore.
Senza girarci intorno, chiunque si aspettava altro da questa giornata probabilmente avrà vissuto da un’altra parte negli ultimi trent’anni almeno. Sicuramente difetta di conoscenza di ciò che Berlusconi e il berlusconismo sono sempre stati. Perché va detto che l’estremo saluto all’ex presidente del Consiglio è stato coerente col modo in cui ha occupato la scena pubblica: esagerato, inusitato, eccezionale sotto molti punti di vista.
Da quello formale, prima di tutto. Funerali di Stato, lutto nazionale e lo stop di una settimana alle votazioni in Parlamento: scelte politiche più uniche che rare, prese certo da chi lo ha già inserito nel proprio Pantheon, ma con l’appoggio convinto della quasi totalità degli altri partiti. Poche voci in dissenso, peraltro immediatamente isolate e finite sotto il fuoco amico. L’omaggio di tutte le cariche istituzionali del Paese, di quasi tutti i leader degli altri partiti e di emissari delle cancellerie internazionali, trasmesso in diretta nazionale, andato in scena in una cornice surreale, con i cori di tifosi e supporter a fare da sottofondo.
Un bagno di folla, di quelli che il Cavaliere ha sempre cercato, voluto, a volte anche preparato e organizzato a tavolino. In tal senso, l’omelia è stata illuminante, sottolineando il desiderio “di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria”. Come lo è l’amore di una curva, a volte. O la politica, quasi sempre.
La giornata di oggi è stata anche quella della rimozione pressoché totale dal racconto pubblico di tutti gli aspetti controversi della vita e dell’esperienza politica di Silvio Berlusconi. In prima linea, media e giornali, che hanno contribuito più o meno consciamente a trasformare un funerale in una canonizzazione ante litteram. Chi ha seguito le dirette televisive si sarà imbattuto in commenti ai limiti dell’imbarazzante, qualcosa che va ben oltre il contegno, il rispetto e la misura che la solennità di un funerale richiederebbero.
Anche qui, però, nessuna sorpresa. Probabilmente, non ci sarebbe stata nessuna epopea berlusconiana senza l’appoggio e la condiscendenza dei mezzi di informazione di questo Paese. Che, del resto, gli appartenevano per buona parte e hanno agito e prosperato resistendo a qualunque tentativo di disciplinare il più lampante dei conflitti d’interesse. Per anni, anche se a momenti alterni e non sempre con linearità, l’unico argine al deflagrare della madre di tutte le contraddizioni, la sovrapposizione fra controllore e controllato, la commistione tra stampa e potere, è stata proprio la formazione liberale del Berlusconi imprenditore. La pietas, il rispetto del dolore dei familiari, la propensione al perdono e alla compassione che tutti noi adoperiamo in presenza di un lutto, sono così debordate nell’agiografia, nella cancellazione di qualunque remora e cautela nel racconto di un uomo e del suo percorso umano, imprenditoriale, politico.
Professionalità e deontologia hanno ceduto il passo a una sorta di commozione a reti unificate. Giornalisti in lacrime, avversari (o presunti tali) di un tempo col capo chino e gli occhi lucidi, detrattori e supporter uniti in un solo abbraccio: tutto prevedibile, tutto tremendamente normale. Le memorie individuali, i ricordi personali, le interpretazioni sono state restituite come fossero fatti acclarati, nel tentativo di restituire una memoria collettiva di Silvio Berlusconi, dalla quale sono stati espunti errori, ombre, processi e limiti. Gli ultimi trent'anni di storia politica del Paese ridotti, nel commento giornalistico, a un unico "aveva ragione lui".
È stata una beatificazione, probabilmente non il modo migliore di raccontare Silvio Berlusconi. Di certo l'unico che potessimo aspettarci dall'Italia. Dalla sua Italia.