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La battaglia di Irene, morta lottando per l’eutanasia legale: perché il biotestamento non basta

Irene è morta lo scorso 24 agosto, a 30 anni, consumata da un aggressivo adenocarcinoma polmonare. Nonostante avesse provato a richiedere il suicidio assistito tramite l’associazione fondata da Marco Cappato, Irene causa complicazioni e lungaggini burocratiche non ce l’ha fatta a raggiungere la Svizzera ed è morta in Italia, costretta a sopportare atroci sofferenze fino alla fine, senza avere la possibilità di scegliere.
A cura di Charlotte Matteini
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Dopo decennali battaglie, pochi giorni fa il Parlamento italiano ha approvato la legge sul biotestamento, che permetterà ai cittadini dello Stato Italiano di potersi esprimere e decidere se accettare determinati trattamenti sanitari, ivi compresi nutrizione e idratazione artificiale. Dopo vent'anni, insomma, il Parlamento ha di fatto vietato l'accanimento terapeutico e concesso il diritto di decidere come e quanto soffrire alle persone che non vogliano essere costrette a essere sottoposte a trattamenti invasivi e poco rispettosi della dignità umana. Con l'approvazione del biotestamento, però, non si chiude affatto il capito del "fine vita" e numerose questioni rimangono tuttora aperte.

La storia di Irene Curiazi, morta lo scorso 24 agosto a soli 30 anni, provata da un adenocarcinoma piuttosto aggressivo, ci ricorda infatti che, nonostante l'approvazione del biotestamento, in realtà i cittadini italiani non sono ancora davvero liberi di scegliere fino alla fine e in caso di gravi patologie sono e saranno ancora costretti a espatriare – se potranno permetterselo economicamente – verso altri paesi più civili per ottenere il suicidio assistito e porre fino alle proprie lancinanti sofferenze.

Rispetto a Dj Fabo, Irene purtroppo – causa complicazioni e lungaggini burocratiche – non ce l'ha fatta ad arrivare in Svizzera ed è morta qualche mese fa in Italia, tra gli atroci dolori che la stavano consumando da quasi due anni. Così come per Dj Fabo, però, Andrea Curiazi – vedovo di Irene – e l'associazione Luca Coscioni hanno voluto raccontare pubblicamente la storia di Irene al fine di smuovere le coscienze e provare a far capire ai più che cosa significa essere costretti a morire sopportando terapie indesiderati e dolori strazianti.

"Irene è morta il 24 Agosto scorso, 2 giorni dopo aver concluso le procedure per ottenere l'aiuto medico alla morte volontaria in Svizzera ma senza riuscire a raggiungerla, consumata a trent'anni da un adenocarcinoma polmonare diagnosticato due anni prima al quarto stadio. Irene aveva già contattato la clinica Dignitas nel gennaio 2016, per poi fare richiesta di assistenza al suicidio nell'agosto 2017 e contattare Marco Cappato. Purtroppo, però, Irene non ha fatto in tempo: è morta subito dopo aver presentato tutta la documentazione necessaria ed effettuato il pagamento dell'ultima tranche per avviare la richiesta. L'iter, infatti, ha richiesto molto tempo. Troppo", spiega l'associazione Luca Coscioni, ricordando che da oltre 4 anni e mezzo giace in parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare mai discussa dagli onorevoli italiani.

“A 30 anni si può continuare a vivere con la morte vicina? La nostra storia dimostra di si. Irene ha continuato a sorridere, ad uscire con le amiche, a viaggiare, nonostante la chemio, le metastasi alla spalla, allo sterno, al ginocchio, tra immunoterapia e infiammazioni, infezioni ed emorragie. Ha vissuto profondamente, non ha mai voluto farsi compiangere, si è sposata sorridendo con me nel febbraio dell’anno scorso. Abbiamo creato insieme una nuova normalità”, racconta il marito Andrea nel video appello. Irene avrebbe voluto essere padrona del suo destino ma, soprattutto, avrebbe voluto che il suo caso potesse aiutare chi oggi, nel nostro Paese, lotta per fare in modo che venga discussa ed approvata in Parlamento una legge sul fine vita che possa garantire a tutti di decidere autonomamente e di morire degnamente. E proprio per questo motivo l'associazione radicale ha scelto lei come nuova testimonial per la campagna di sensibilizzazione volta alla legalizzazione dell'Eutanasia in Italia.

“Irene ha vissuto libera quasi fino alla fine, Quando ha capito che era arrivata, ha avviato le pratiche per ottenere l’assistenza la morte volontaria in Svizzera, ha anche contattato Marco Cappato. Ma le pratiche svizzere hanno richiesto troppo tempo e il 24 agosto Irene è morta come non avrebbe voluto: tra ansia e paura. Non voleva sopravvivere legata ad un sondino, era terrorizzata che l’ossigeno potesse finire. Era stanca, aveva paura che il mostro crescesse facendola soffrire sempre di più, riducendo la sua autonomia. Era debole negli ultimi tempi, costretta a scegliere tra la perdita della lucidità e il dolore atroce, non voleva che noi vivessimo la sua agonia. Lei, sempre così coraggiosa, che fino a venti giorni prima di morire era con me in viaggio in furgoncino nei paesi del nord, Svezia, Scandinavia, camminando per ore, ora non ne poteva più”, prosegue Andrea.

"Conquistato il testamento biologico, l'obiettivo ora è il raggiungimento di una legge sul fine vita che consenta la libertà di scelta anche a chi, come Irene, come Fabo, come Dominique Velati, come Davide Trentini, desidera interrompere una condizione di irreversibile sofferenza. Sarà possibile solo con la legalizzazione dell'eutanasia", sottolineano i rappresentanti dell'Associazione Luca Coscioni.

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