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Opinioni

L’ottimismo ha stancato

Il Pil cala ancora, la disoccupazione giovanile continua a crescere, il debito pubblico non si arresta. È troppo chiedere alla politica di “parlare il linguaggio della verità” e di rinunciare finalmente ad un ottimismo che sa sempre più di presa in giro?
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Questo è un Paese strano, lo sappiamo fin troppo bene. Dove c'è chi esulta per i dati Istat negativi, per l'entrata nella fase di recessione ("tecnica", per carità), per la crescita della disoccupazione giovanile e per la revisione al ribasso di tutte le stime di crescita economica.

È però anche il Paese in cui il Presidente del Consiglio etichetta come "gufi e rosiconi" non solo gli avversari politici, ma anche chi esercita (ogni tanto, per carità) qualche critica di merito o magari mette in dubbio il suo potere taumaturgico.

E infine, è il Paese dei benaltristi. Di quelli che ragionano in base alle "priorità", le loro, ovviamente, incapaci il più delle volte di scindere la propaganda dalla politica e pienamente dentro quel "gioco delle parti" che si illudono di smascherare. Così, ad esempio, nel giorno in cui l'Istat certifica l'intero settore produttivo del Paese è ancora nel pantano e butta a mare ipotesi e proiezioni di una "certa uscita dalla crisi nel 2014", ci si inalbera per le "tre ore buttate" da Renzi nel vertice con Berlusconi o per la volontà della maggioranza di forzare i tempi per una riforma della Costituzione che si ritiene inessenziale. Il benaltrismo impera, insomma: dal bonus di 80 euro alla riforma costituzionale, dal decreto lavoro alla spending review, c'è sempre qualcosa di più urgente, importante, decisivo, determinante da fare. Insomma, c'è sempre e comunque qualcosa di "altro" cui indirizzare sforzi e risorse.

Finora, inutile negarlo, il nuovo corso renziano è riuscito a tirare le fila di questo teatrino con naturalezza, senza eccessivi problemi. Utilizzando l'arma della comunicazione, fino a costruire una narrazione (adottata dalla quasi totalità dei mezzi di informazione) basata sul carico emozionale più che su numeri, dati e proiezioni. Una narrazione nella quale trovano posto frasi come "c'è chi scommette contro il nostro Paese" e "che la crescita del Pil sia dello 0,4 o 0,8 o 1,5 per cento non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone", oppure concetti ridotti ad hashtag manichei e banalizzanti (#lavoltabuona, #cambiaverso eccetera).

Una narrazione che fa ampio uso di concetti come speranza, sogno, ottimismo, futuro. E che ha abbondantemente stancato. Forse perché stride davvero con la realtà dei fatti o forse perché l'effetto placebo è esaurito e ci stiamo tutti risvegliando in un Paese dalle mille contraddizioni, dai mille problemi irrisolti, dalle mille "priorità", appunto. O forse proprio perché è una narrazione molto simile a quella che abbiamo tutti detestato: quella della crisi che non c'era, dei ristoranti pieni, dei 3 telefonini per famiglia.

Che poi, a ben vedere, senza elezioni a breve termine e senza la necessità di sottoporsi a verifiche sanguinose, Renzi potrebbe tranquillamente rinunciare a questa stucchevole poetica della speranza e tornare a "parlare il linguaggio della verità". Mostrando agli italiani la concretezza dell'agire politico, al di là della retorica e della propaganda politica. Rinunciando alla politica degli annunci e delle accuse reciproche. E magari, ma questo lo diciamo a bassa voce, ammettendo pure che sì, qualche problema c'è…

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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