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Opinioni

L’onestà non andrà mai di moda

“Sono tutti uguali, tutti ladri”. È la solita, stanca, inutile lamentela all’italiana, siamo d’accordo. Ma siamo talmente assuefatti a corruzione, scandali, illegalità, da avere la tentazione di arrenderci al qualunquismo…
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Il claim della comunicazione grillina è semplice e di grande impatto: "L'onestà tornerà di moda". Con meno credibilità, in ragione di un pregresso considerevole, anche i partiti "tradizionali" ripetono ossessivamente il loro impegno in direzione della trasparenza, dell'onestà, della limpidezza delle scelte. Le volte in cui si è parlato di rivoluzione culturale e di superamento della piaga della corruzione, attraverso misure che garantiscano la trasparenza a tutti i livelli, nemmeno si contano più ormai. Così come le proiezioni più o meno fantasiose su quanto ci costerebbero corruzione e comportamenti disonesti ormai stanno raggiungendo livelli al limite del proponibile (basterebbe una riflessione sulle fantomatiche cifre della Corte dei Conti, sulla bufala dei 60 miliardi di euro bruciati annualmente dalla corruzione, per capire il senso del "parlare di tutto e di niente").

E si parla di tutto e di niente anche quando si annunciano nuovi strumenti per la lotta alla corruzione, giri di vite sui controlli, organismi speciali e poteri sovrannaturali per debellare le piaghe della corruzione e del malaffare. Ed ha ragione Cacciari, quando commentando l'inchiesta sul Mose, spiega come proprio la natura emergenziale delle politiche in materia di assegnazione delle risorse e degli appalti per i lavori pubblici sia alla base dell'anomalia italiana. È un sistema criminogeno per sua natura, quello che garantisce la possibilità di "evitare" i controlli, di operare in deroga alla normativa vigente, alle elementari norme di trasparenza e buonsenso: insomma, in deroga alla normalità. Perché in tal modo si legittima il concetto che l'onestà sia l'eccezione, l'anomalia, la non normalità. Quando servirebbero invece solo la linearità dei comportamenti e l'intransigenza delle scelte, che siano o meno della politica.

La politica dell'emergenza, invece, ha sempre fallito. Anche perché, nel caso specifico, gli strumenti straordinari di cui ci siamo dotati nel corso degli anni hanno solo in parte favorito la trasparenza e la correttezza dell'agire, senza mai andare in profondità scardinando la farraginosità e le lacune del processo decisionale e di verifica successiva. Limiti che trovano un perfetto termine di paragone nella confusione con cui si è lavorato ai massimi livelli, proprio nella ristrutturazione dei meccanismi decisionali – operativi della macchina statale di questi ultimi anni.

Quello che invece resta, sempre, immobile e continuamente riproposto è la speranza del cambiamento. La speranza di una inversione di tendenza, di scoprire che un cambio di rotta sia possibile, di non doverci confrontare di volta in volta con corrotti, concussi, corruttori e intrallazzatori vari. La speranza che per una volta dietro una grande opera non ci siano "cricche", lobby, affaristi di varia natura. La speranza. Ma proprio quella del mito di Pandora, "un male che sembra tuttavia buono, perché la speranza induce sempre ad attendere qualcosa di meglio". Ecco, appunto.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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