Diceva Walter Benjamin che occorre sottrarsi alla presa mortifera delle ideologie dominanti e provare a spazzolare “contropelo” la storia, lasciando emergere il non-detto e ciò che l’egemonia del blocco storico vincente non ha interesse a fare affiorare.
Seguendo il suggerimento di Benjamin, possiamo dire, senza perifrasi, che contro le narrazioni edulcoranti, che presentano la storia come marcia trionfale della libertà, l’Italia ha recentemente subito due colpi di Stato: il primo nel 1992, il secondo nel 2011. Procediamo con ordine.
Dopo il 1989, con l’ingloriosa fine dei comunismi rimasti sepolti sotto le macerie del Muro, il capitale può riprendere la sua marcia trionfale, senza più gli ostacoli del suo nemico storico. E può, dunque, riprendersi tutto: diritti sociali, conquiste del lavoro, ecc. Può procedere indisturbato alla destrutturazione del welfare state.
Nel caso specifico italiano, il transito dallo Stato con welfare state incorporato alla privatizzazione integrale della vita e alla distruzione pianificata dei diritti si avviò nel 1992, con quel colpo di Stato giudiziario che fu la cosiddetta operazione di “Mani Pulite”; il cui unico fine era l’abbattimento della prima Repubblica – corrottissima, ma pur sempre centrata sullo stato sociale e sulle tutele del Servo – e l’inaugurazione del ciclo delle privatizzazioni neoliberiste.
Grazie al colpo di Stato giudiziario di Mani Pulite, si aprì il ciclo delle privatizzazioni selvagge e dell’alternanza senza alternativa tra un centrodestra e un centrosinistra egualmente atlantisti ed egualmente mercatisti: Berluscono, D’Alema, ecc. furono le “maschere di carattere” di questa commedia. Il secondo colpo di Stato avrebbe coinvolto l’Italia nel 2011.
Se il primo fu giudiziario, questo secondo fu schiettamente economico. Avvenne per il tramite dell’instaurazione di un governo formalmente definito “tecnico” e, in verità, corrispondente a una giunta militare di tipo economico, imposta autocraticamente dalla Banca Centrale Europea con il solo obiettivo di adeguare la penisola italiana ai parametri economici europei, destrutturando i residui diritti sociali e del lavoro.
Si tratta, ovviamente, del governo di Mario Monti: dal sogno leniniano del “tutto il potere ai soviet”, si passò all’incubo del “tutto il potere agli economisti”. L’ideale aristotelico della comunità politica governata democraticamente in nome del bene comune cedette il passo all’esecrabile realtà di una nazione retta dai diktat della Banca Centrale, dall’ideale del pareggio di bilancio e da un governo che di democratico neppure aveva la parvenza.
L’obiettivo della giunta militare economica del governo Monti fu semplicemente quello di imporre massicce dosi di liberismo, convincendo il popolo che aveva finora vissuto “al di sopra delle sue possibilità” e che si trattava di rispettare le sacre leggi del mercato, quand’anche esse fossero entrate in conflitto – come infatti fu – con la vita e con i diritti.
Ecco la storia più recente del nostro Paese, raccontata in poche parole e senza il ricorso a perifrasi edulcoranti.