L’ipotesi del ritorno alle urne per sbloccare lo stallo: secondo i sondaggi non servirebbe a nulla
Lo stallo istituzionale prosegue e, a 46 giorni dalle elezioni dello scorso 4 marzo, sembra ancora lontana la formazione di un nuovo governo. I due giri di consultazioni al Quirinale sono entrambi andati a vuoto e anche i due giri esplorativi affidati dal presidente Mattarella alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati non hanno portato ad alcun risultato concreto. Il Movimento 5 Stelle, che si dice pronto a firmare un contratto di governo alla tedesca con la Lega, continua a opporre veti sugli alleati Meloni e Berlusconi, pur avendo dichiarato che nell'eventualità accetterebbe un loro appoggio esterno di governo, e rifiuta qualsiasi trattativa con il centrodestra unito.
Dal canto suo, Matteo Salvini ha ribadito che il centrodestra non si spacca e che se Di Maio non metterà da parte i veti, la trattativa per l'accordo di governo con la Lega verrà dichiarata conclusa e il centrodestra proverà a governare da solo cercando gli appoggi necessari in Aula. Qualora lo stallo dovesse proseguire ancora per molto, i leader politici auspicano, come extrema ratio, il ritorno alle urne. Ma un nuovo voto cambierebbe lo scenario? A quanto pare, stando alla Supermedia elaborata da Youtrend, no.
I sondaggi condotti in queste ultime settimane evidenziano una crescita di consensi per il Movimento 5 Stelle, primo partito con il 34%, e della Lega, stimata oggi al 20,7%, mentre il Partito Democratico crolla e scende sotto il 18% (17,6%), LeU finisce sotto la soglia di sbarramento al 2,8%, FdI rimane stabile al 4,1% e Forza Italia cresce di poco e si attesta al 12,5%. Con l'aumento consistente della Lega, il Centrodestra sale oltre il 38% e si avvicina al 40% dei consensi, la cosiddetta soglia psicologica che rende allettante l’ipotesi di un ritorno alle urne.
Se si andasse a votare oggi, però, sicuramente le percentuali di consenso raccolte dai vari partiti varierebbero, ma allo stesso tempo non così tanto da permettere a singole coalizioni o formazioni politiche di formare un governo senza appoggi esterni.
Nonostante il M5S abbia guadagnato quasi 2 punti e la Lega quasi 4 rispetto alle ultime elezioni politiche, la variazione in termini di seggi sarebbe molto poco significativa. Il centrodestra si fermerebbe a quota 277, ben distante di una quarantina di seggi dalla maggioranza (316). E dovrebbe comunque cercare un accordo col M5S, che a sua volta potrebbe formare una maggioranza anche con il PD, esattamente come oggi. L’unica differenza, politicamente rilevante ma ininfluente per la ricerca di possibili equilibri di governo, sarebbe la sparizione di Liberi e Uguali, che restando sotto il 3% perderebbero anche quei 14 seggi effettivamente ottenuti il 4 marzo.
La cosa interessante è che a livello di collegio uninominale le variazioni sarebbero minime: un paradosso, poiché in teoria è proprio nei collegi uninominali che dovrebbe agire la “leva” maggioritaria premiando in modo esponenziale i vincitori. Invece le variazioni maggiori si registrano nella distribuzione proporzionale del voto alle liste.