L’ipocrita Italia che difende Charlie Hebdo, ma ama la censura
“Questo telegiornale andrà in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali”. Qualcuno si ricorda Daniele Luttazzi? Io me lo ricordo bene, Daniele Luttazzi. Un personaggio scomodo, il solo nominarlo basta e avanza per accendere infinite discussioni, soprattutto quando si parla di satira politica e di libertà di espressione. Correva l’anno 2001 e Silvio Berlusconi un giorno tuonò: “L'uso che Biagi… Come si chiama quell'altro? Santoro… Ma l'altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga”, il famoso editto bulgaro. Ed effettivamente poco dopo il suo Satyricon venne sospeso, insieme ai programmi di Santoro e Biagi.
Mi è tornato in mente in questi giorni, da quando tutti siamo diventati Charlie Hebdo, da quando l’Italia intera improvvisamente si è scoperta sincera amante della satira, della libertà di stampa e della libertà di espressione, complice l’attentato alla redazione del settimanale satirico francese. Ha scosso le coscienze l’atto terroristico contro Charlie Hebdo, contro la libertà di stampa e di espressione. Negli anni, le vignette di Charlie Hebdo hanno spesso provocato accese polemiche, spesso le persone si sono scagliate contro le vignette blasfeme su Maometto. Persone che, più o meno velatamente, spesso hanno strepitato contro questa satira profanatrice. Persone che hanno chiesto la censura per Charlie Hebdo, in nome del rispetto. E che sempre in nome del rispetto hanno applaudito alla censura di Daniele Luttazzi, Sabina e Corrado Guzzanti, Paolo Rossi, Serena Dandini, Beppe Grillo, hanno applaudito alla chiusura di programmi come Rai Ot e spesso ancora oggi cercano di imbavagliare i giornalisti e i conduttori sgraditi. Sgraditi perché faziosi, nella misura in cui i riferimenti presi in considerazione sono unicamente il proprio personale punto di vista, i propri valori, i propri ideali.
E nel corso degli anni, in Italia, sono stati centinaia gli episodi di censura, più o meno passati in sordina. Sì, qualcuno che protestava per fortuna c’era, ma la censura era vista come una pratica tutto sommato accettabile. Probabilmente se Charlie Hebdo fosse nato in Italia, non sarebbe mai nato. Forse in edicola sarebbe arrivato solo il numero zero, e poi più nulla. Imbavagliato, zittito, censurato. Charlie Hebdo, come Daniele Luttazzi, era odiato dai più. Charlie Hebdo, come Daniele Luttazzi, non fa satira che fa ridere. No, Charlie Hebdo fa satira vera, quella che critica e sbeffeggia le contraddizioni e i pregiudizi e che nulla c’entra con la risata e con la pura comicità. Satira che non risponde né al potere, né al perbenismo del sentir comune. Satira amara, che fa incazzare le persone, che crea dibattiti e polemiche. Questo è lo scopo della satira, non il divertimento d’avanspettacolo. E l’Italia oggi, improvvisamente, sembra riscoprire il valore di quella che è la più alta forma di libertà d’espressione che esista, peccato che non ne abbia mai compreso il valore e l’abbia soffocata a suon di censure, editti bulgari e intimidazioni, per anni.
Quelle stesse persone che applaudivano alla censura di Satyricon, ora manifestano in piazza per la libertà di espressione e urlano che no, la satira non si può censurare e che la libertà di stampa e di espressione non si toccano, che vanno riconosciute e salvaguardate. Fulminati sulla via di Damasco o solo ipocrita difesa di una posizione che adesso, complice l’attentato, viene comodamente sostenuta perché politicamente corretta? Probabilmente la risposta giusta è la seconda, visto che quando si cerca di parlare dei vari Luttazzi e Guzzanti nostrani, le posizioni diventano irrimediabilmente opposte. “Fanno politica, non fanno ridere. La censura fu giusta.” e via con il carosello di dichiarazioni che cercano di difendere la libertà di espressione di alcuni, ma non di altri. La libertà di espressione sì, è sacra, ma non per tutti. Alcuni possono essere censurati. Anzi, no: se lo meritano. E’ possibile difendere la libertà d espressione di un settimanale di satira francese e allo stesso tempo invocare la censura verso l’irriverenza degli autori di casa nostra?
Ma di quale strenua difesa della libertà stiamo parlando, se siamo già pronti a rimettere in discussione l’ideale per cui solo ieri siamo scesi in piazza? Che senso ha una libertà repressa in partenza? Siamo tutti Charlie Hebdo, ma a corrente alternata? Non esiste un solo argomento al mondo che metta d’accordo tutte le varie sensibilità. Chiunque crede di essere nel giusto, basandosi sulle proprie personali credenze. Ammettere la bontà di uno strumento come la censura può portare solamente ad ammettere che sì, la libertà di espressione dell’individuo può e deve essere limitata. Ma questo approccio miope non può che portare alla censura prossima ventura di qualsiasi tipo di pensiero non conforme alle regole che qualcuno più potente di noi stabilirà un giorno.
Il problema vero, però, che pochi sembrano riuscire a cogliere, è che l’attentato ha scosso perché i terroristi hanno spezzato le matite dei vignettisti blasfemi a colpi di AK47. Ma ci stiamo dimenticando che anche la censura uccide. Uccide la libertà di ogni individuo.