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Trattativa Stato-Mafia, quando Dell’Utri e De Donno si telefonavano

A Marcello Dell’Utri è appena stata annullata la condanna a 7 anni per concorso in associazione mafiosa e gli inquirenti che indagano sulla trattativa Stato-Mafia intercettano la sua telefonata col colonnello dei carabinieri Giuseppe De Donno.
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Trattativa Stato Mafia, chiesto il processo per Dell'Utri, Riina, Provenzan e Mancino

«Poi ci vediamo presto». «Ci vediamo, ma ci dobbiamo vedere». A parlare, dai due lati del telefono, ci sono il senatore Marcello Dell’Utri e il colonnello Giuseppe De Donno, entrambi indagati nell’inchiesta della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Questa intercettazione, depositata lunedì scorso dai pm della DDA che hanno chiesto di utilizzarla nel processo Mori sulla mancata cattura di Bernardo Provenzano, risale alla sera del 9 marzo.

Appena ventiquattr'ore dopo la sentenza della Corte di Cassazione che ha rinviato a un nuovo appello il processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Dell’Utri, assolvendolo una volta per tutte dalle accuse di collusione mafiosa durante la nascita di Forza Italia e risparmiandogli una condanna definitiva, De Donno chiama il senatore per congratularsi («sono davvero contento, Senatore. Complimenti»).  Ed elogia i giudici cassazionisti che «non si sono giocati tutti il cervello».

Secondo quanto Fanpage ha potuto apprendere da ambienti investigativi, la Procura vuole utilizzare queste intercettazioni per dimostrare una conoscenza consolidata nel tempo tra i due indagati, il senatore e il colonnello, che al telefono sembrano avere familiarità uno con l’altro («caro… Colonnello caro, Colonnello» risponde Dell’Utri al suo coindagato che si era qualificato solo come «De Donno»).

La sera dell'intercettazione Dell’Utri si trova a Santo Domingo (di cui, come ha rivelato l’Espresso, ha acquisito anche il passaporto) dove si era rifugiato per sfuggire a un’eventuale sentenza di condanna della Cassazione. Alla fine i due promettono di incontrarsi: «Poi ci vediamo presto», assicura De Donno. Il senatore conferma: «Ci vediamo, ma ci dobbiamo vedere». Al telefono col generale Mori, anch’egli indagato per la trattativa, De Donno racconta di avere parlato con Dell’Utri: «Io gli ho telefonato. ‘Veramente – mi ha detto – questi pigliano cazzi per lanterne’. Gli ho detto: ‘Guardi mi farebbe piacere se una sera andiamo a cena con il generale. A questo punto essendo coindagati non ce lo possono negare’».

Al centro delle accuse che i pm di Palermo contestano al generale Mori e al colonnello Mauro Obinu (già condannato in primo grado a sette anni per traffico di droga insieme al generale Ganzer, oggi in attesa della sentenza di appello), c’è il modo in cui decisero di gestire Luigi Ilardo, confidente di Cosa nostra ucciso poco prima di diventare un pentito a tutti gli effetti, che secondo la ricostruzione dell’accusa avrebbe potuto permettere al ROS di Palermo di catturare Bernardo Provenzano già nel 1995 vicino Palermo, in un casolare di Mezzojuso.

Interrogato in Tribunale nel 2009, il colonnello Michele Riccio, il carabiniere che è riuscito a infiltrare Ilardo fino al vertice di Cosa nostra, aveva dichiarato sotto giuramento: «Il generale Mori mi disse di non citare nel mio rapporto (sulle confidenze di Ilardo, ndr) i nomi di tutti i politici, tra questi c’era anche Marcello Dell'Utri: una persona importante, molto vicina ai nostri ambienti. Se lo metto, pensai, succede il finimondo». Mori e Obinu hanno querelato Riccio per calunnia. Il Gip (dopo più di tre anni) ha deciso di archiviare la querela senza fissare l’udienza di opposizione richiesta dai due, che hanno fatto ricorso in Cassazione (tutt’ora pendente).

La Procura vuole dimostrare, anche con quest'ultima intercettazione, che i carabinieri del ROS conoscevano Dell’Utri – che sarebbe stato protagonista della fase finale della trattativa – fin da allora. E che anche questi rapporti di conoscenza sarebbero alla base di quelle (presunte) omissioni sulle confidenze di Ilardo.

Lo stesso Mori ha ammesso in aula, nel 2009, che suo fratello ha lavorato in Fininvest fino al 1991. E in un rapporto della DIA, agli atti dei magistrati, si legge che il fratello del generale era socio, ancora nel 1999, di Paolo Berlusconi, fratello del Cavaliere, in una ditta, la Co.Ge., che faceva affari con imprenditori poi condannati per mafia e «che garantisce i legami con la grande imprenditoria per la realizzazione dei lavori, il controllo su di essi di Cosa nostra, il recupero delle somme da corrispondere all’organizzazione e ai politici che assicuravano gli appalti».

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