Un breve riepilogo a beneficio dei più distratti. Roberto Formigoni, rinviato a giudizio per corruzione e coinvolto in inchieste sulla sanità lombarda, guida una maggioranza che ha tra le proprie fila 14 inquisiti (fra consiglieri ed assessori), per reati di varia fattispecie tra cui la corruzione ed il concorso in associazione mafiosa. Circostanze che, in un qualunque altro punto dell'universo, avrebbero portato il Governatore regionale a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni ed a prendersi una lunghissima vacanza dalla vita politica attiva. Non in Italia, men che meno in Lombardia, evidentemente. Dove è servito lo strappo della Lega Nord (figuriamoci) per far capire al celeste Formigoni che forse è il caso di calare il sipario con largo anticipo. Certo, non che la linea di Maroni e Salvini sia stata così chiara fin da subito, con i 6 mesi di tempo lasciati al Governatore per "sistemare le cose" e la prospettiva di andare al voto in primavera che ha finito con il complicare ancora di più il quadro.
Già, perché piuttosto che lasciare che siano i leghisti a decidere quando mandarlo a casa, Formigoni potrebbe anche dimettersi subito (dopo aver cancellato il listino?). Intanto minaccia di far saltare anche le giunte leghiste di Veneto e Piemonte. Ora, tralasciando quest'ultima considerazione (va da se che il Popolo della Libertà non può permettersi di perdere anche Veneto e Piemonte, date le condizioni in cui versa), resta davvero la pessima immagine di fine impero, di un lento e costante naufragio di una intera classe politica, del tramonto inglorioso della presunta eccellenza lombarda. E pensare che qualcuno solo pochi anni fa pensava a Formigoni come all'erede naturale di Silvio Berlusconi alla guida del centrodestra. Invece di quel Formigoni ora non resta che la presunzione ed un sorriso sempre più tirato. Ne parla mirabilmente Curzio Maltese su Repubblica, con un ritratto impietoso della imbarazzante situazione del celeste:
Il ghigno di Formigoni è ormai un tratto grafico, un logo, un simbolo. Sembra il Joker dei fumetti. […] Formi-joker ride perché è ancora convinto di cavarsela, nonostante tutto. Per vent’anni ha governato un sistema politico affaristico senza paragoni nella storia d’Italia, sostenuto da un consenso quasi plebiscitario e da un ferreo controllo del territorio. Un sistema dal quale perfino la ’ndrangheta ha ancora molto da imparare. Il Celeste non può credere che tutto stia crollando così. Per mano di chi, poi? La Lega del dopo Bossi è debole e divisa fra le colombe di Bobo Maroni e i falchi di Matteo Salvini, Berlusconi può giusto dare ordini ad Alfano, la sinistra in Lombardia non esiste da alcuni decenni e le occorrerà tempo per reinventarsi come alternativa. […] In questo quadro di disfacimento dell’impero, le ghignanti tattiche del Celeste appaiono espedienti disperati.
Un modo per non prendere atto che l’hanno mollato tutti, avversari e alleati, compagni di partito e compari di vacanze, perfino la Curia, dalla quale il nuovo arcivescovo Scola continua a lanciare appelli alla moralità vagamente allusivi. Perfino gli amici di Comunione e Liberazione che sono alla ricerca di nuovi padrini, sempre svelti quelli. Se fosse un’altra storia e un’altra Milano, Formigoni troverebbe magari il coraggio di chiudere con un gesto comunque all’altezza di una grandiosa parabola. Dimettersi e cominciare a raccontare che cosa è stato davvero il sistema. Una delle canzoni più belle di Bob Dylan è dedicata alla figura di un Joker, dice: «La libertà è dietro l’angolo, ma che cosa può venirtene di buono se la verità è così lontana?».