L’immagine del leader: ascesa e caduta del “grande comunicatore”
“Non si può non comunicare”. Vecchia massima che Silvio Berlusconi ha fatto diventare, nel tempo, programma di governo. Diciassette anni sulla bocca di tutti gli italiani. Dagli osanna alle critiche; dalle santificazioni alle demonizzazioni: tutto, nell’ormai ex premier, diventa simbolo: la statura, il sorriso, l’intercalare, l’ossessione della vecchiaia, le frasi a effetto, le barzellette, le donne, le gaffe. Persino Palazzo Grazioli, residenza privata assurta a sede di Stato, tradisce una costante tendenza alla privatizzazione della res publica: la politica è roba mia e la esercito da casa. Anche questa è comunicazione. Sarebbe però ingenuo pensare che le strategie di Berlusconi siano buone per tutte le stagioni. Diciassette anni, in quella che per semplificazione viene definita “era digitale”, sono un’enormità. Comunicare col pubblico televisivo del ’94, anno della famosa “discesa in campo”, e rapportarsi al pubblico del 2000 non è la stessa cosa. Così come sono profondamente diversi i tre messaggi che annunciano la nascita di Forza Italia prima, del secondo governo Berlusconi dopo e del PdL poi.
Sguardo in camera, sorriso sornione, gestualità pacata e contenuta. Il Berlusconi che annuncia, nel 1994, la nascita di Forza Italia ha la solennità di un Presidente che parla a reti unificate.
1994 – La discesa in campo
Il patron delle reti Fininvest annuncia il suo impegno in politica e la nascita di Forza Italia
Simbolo del rinnovamento (non conta quanto reale), lucido e rassicurante portatore di programmi inediti contro un “passato politicamente ed economicamente fallimentare”, il Cavaliere opera due importanti svolte nel racconto della politica italiana: salta l’intermediazione della stampa, rivolgendosi direttamente al pubblico amico, e individua in modo chiaro e netto quelli che saranno i suoi nemici più infidi: “Il governo delle sinistre e dei comunisti”. Semplificazioni ben gradite a chi percepiva la politica come un terreno troppo complicato per metterci i piedi. Da un parte i buoni, dall’altra i cattivi: la prima, vera e forse più riuscita rivoluzione mediatica nella storia dei partiti, che da quel 26 gennaio in poi vivranno in relazione simbiotica con il piccolo schermo domestico.
Il primo a capirlo è lo stesso Berlusconi che, ancora una volta, decide di bypassare ogni intermediazione giornalistica. È il 2001. Anche questa volta ci troviamo di fronte a due rivoluzioni di stampo mediatico: la prima è il contratto con gli italiani, ancora una volta di matrice televisiva; la seconda, un libro a colori, dove il futuro premier è ritratto in ogni singola scena di vita quotidiana, dall’attività imprenditoriale alla cura del giardino. Un’elegia cartacea che viene spedita in ogni casa italiana, a sottolineare come i media di famiglia abbiano ormai creato un personaggio senza angoli oscuri che, da quel momento in poi, diventerà “L’amico Silvio”.
2001 – Il contratto con gli italiani
Berlusconi firma, negli studi televisivi di Porta a Porta, gli impegni assunti come capo del governo nei confronti dei cittadini
Passano gli anni, cambiano i mezzi di comunicazione, mutano anche i contenuti: ecco il famoso “discorso del predellino”, dove Berlusconi, nel 2007, annuncia senza alcun preavviso la nascita della sua nuova creatura: il Popolo delle Libertà.
2007 – Il discorso del predellino
Piazza San Babila, pieno centro di Milano, diventa teatro di un'improvvisa rivelazione: la nascita del Popolo delle Libertà
Lo scenario è radicalmente mutato. Alle spalle di Berlusconi, al posto della statica tranquillità di una libreria o del rassicurante studio di Porta a Porta, c’è piazza San Babila gremita da migliaia di sostenitori estasiati. Una miriade di cronisti attornia il futuro primo ministro, che improvvisamente sale sul predellino di un'auto, annunciando la sua nuova formazione politica. Scelta strategica: le urla di giubilo e gli inni di gioia scandiscono le parole di un Berlusconi che spiazza tutti con consumato protagonismo televisivo, mai così calato nel “corpo del leader” che arringa le folle. I tempi sono maturi perchè si proceda con l'ultimo tassello di questa esasperata personalizzazione della politica: la Repubblica degli slogan. Berlusconi, fedele al suo spirito imprenditoriale, vende sè stesso agli elettori attraverso un variegato marketing mix fatto di parole chiave e simpatici ritornelli, da canticchiare sorridendo mentre si è impegnati nelle proprie faccende quotidiane. Strategia dove anche la parodia e la presa in giro fanno il gioco del Cavaliere, che ha ormai scavato il suo personale spazio nel cervello di ogni italiano.
"Meno male che Silvio c'è"
Cantato, fischiettato, parodiato, storpiato. Uno degli inni più famosi della politica personalizzata
Comunicazione aggressiva e difensiva al tempo stesso. Leone e agnello convivono nello stesso capo politico. “Completo sovvertimento della realtà”, “Sinistra anti-democratica”, “Magistratura eversiva, cancro del Paese”. Sono solo alcune delle frasi che ricorrono nel Berlusconi-pensiero. D’altronde, ragiona il Cavaliere, se qualcuno provoca, bisogna reagire con identica veemenza. E allora spazio al contrattacco, con parole sempre uguali e frasi costantemente ripetute. Che al premier sia venuta meno la fantasia e l’istrionismo dei primi anni? O, magari, ha capito che la stampa italiana si nutre di dichiarazioni brevi, semplici, incisive, non necessariamente dotate di un contenuto accettabile? Ma chi pensa che questa tendenza sia esclusiva degli ultimi anni, nell’epoca del potere legislativo ad personam, non coglie il panorama di lungo periodo. Correva l’anno 1995. Il Berlusconi furioso urla a squarciagola, si dimena, lancia la sua appassionata accusa verso un’Italia diventata, a suo avviso, “Repubblica non dei giudici, ma dei giustizieri”.
Gli attacchi alla magistratura: tutto iniziò così
Già nel '95 il Cavaliere era coinvolto in numerosi processi giudiziari. La sua arringa difensiva viene affidata, come di consueto, al comizio pubblico
Discorso che inaugura una lunga stagione di rabbiosi attacchi a uno dei tre poteri fondanti lo Stato moderno. Ciò che colpisce è la crescente violenza verbale con cui il Cavaliere tenta di delegittimare la magistratura. La comunicazione di Berlusconi va a incidere, con costanza certosina, sui malesseri della giustizia italiana, alcuni cronici, altri gonfiati ad hoc: dalla lentezza dei processi all’errore giudiziario; dall’imputato visto come vittima sacrificale all’intromissione della politica “rossa” nelle procure. Il premier, incurante dell’apparente grossolanità di certi discorsi, opera, in realtà, un sapiente lavorio mediatico: il giudice viene dipinto come cinico aguzzino, avido di soldi pubblici, con le aule di tribunale diventate covo di rivoluzionari golpisti, pronti a sovvertire la decisione popolare con l’arma delle toghe e del codice penale.
Berlusconi e la magistratura: un rapporto difficile
Comunisti, golpisti, eversivi. In diciassette anni, Berlusconi ha così sintetizzato il lavoro dei giudici
Sul tema della “dittatura dei giudici”, il Silvio nazionale arriva a coinvolgere persino il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Non prima, si noti bene, di aver avvicinato un fotografo della stampa per informarlo su come e dove puntare l’obiettivo. “Non si può non comunicare…”
La "dittatura" dei giudici
Berlusconi informa il presidente americano di quelli che sono, a suo dire, i problemi della giustizia italiana
Già. Proprio Barack Obama. Lo stesso presidente che Berlusconi, in una sua memorabile sortita, definì come “giovane, bello e abbronzato”. Sullo scenario internazionale il Cavaliere ha spesso restituito, in effetti, un’immagine non proprio brillante del nostro Paese. Chi non ricorda l’indimenticabile “Kapò nazista” rivolto all’europarlamentare socialista Martin Schulz? O l’immagine di Angela Markel che, con aria spaesata, è costretta ad attendere, nell’ambito di un incontro diplomatico, il primo ministro italiano impegnato in una sua telefonata? Eppure, su questo stesso scenario internazionale, Berlusconi ha costruito uno dei suoi capolavori mediatici più riusciti: farsi fotografare e riprendere in compagnia di Barack Obama (sempre lui) in giro per le macerie de L’Aquila post-terremoto nell’estate del 2009, a margine del G8 che, nelle intenzioni del consiglio dei Ministri, doveva rilanciare mediaticamente l’immagine della città abruzzese e del governo.
La ricostruzione mediatica de L'Aquila
Berlusconi mostra a Obama le macerie del terremoto, annunciando i futuri provvedimenti del suo governo
Congressi di partito, reti televisive amiche, comizi elettorali. Finora abbiamo visto Berlusconi giocare in casa propria. Ma cosa accade quando il Cavaliere trova la sua bestia nera per eccellenza: il contraddittorio? Qui bisogna fare una distinzione, fra la presenza fisica e la semplice voce diffusa tramite collegamento telefonico. Partiamo dalla seconda. È cronaca recente il periodo scandito dalle furiose telefonate a Ballarò e L’Infedele, trasmissioni condotte da due giornalisti come Giovanni Floris e Gad Lerner, non certo compiacenti nei confronti del primo ministro. Che si tratti di debito pubblico, di scandali sessuali, di procedimenti giudiziari o di conflitto d’interessi, Berlusconi trova sempre il modo di telefonare a fine trasmissione per narrare la sua versione dei fatti. Come fare, però, a reggere il contraddittorio dello studio? Semplice: riattaccare prima che i presenti possano rispondere. Un ritorno a quella comunicazione unidirezionale tipica della televisione, dove uno parla e dieci, cento, mille ascoltano senza aver modo di controbattere. L’unica che, in definitiva, Berlusconi sia in grado di reggere e concepire. Il suo modello non prevede risposte, discussione, ragionamento. Ed è qui che si pone, come vedremo a breve, la sua più grande fonte di successo “videocratico”, come la principale causa del declino "telematico".
Il "postribolo" di Lerner e i sondaggi di Ballarò
Due esempi emblematici delle telefonate a senso unico del Cavaliere
Anche stavolta, però, un confronto col passato è d’obbligo. Sedici marzo 2001. Michele Santoro conduce “Il Raggio Verde” sulle reti Rai. Silvio Berlusconi chiama durante la trasmissione, esordendo con un “complimenti per questi processi in diretta”, accostando la tanto vituperata materia giudiziaria alla tanto adorata materia televisiva. Il patron delle reti Mediaset tenta di imporre le sue ragioni, lamentando presunte “trappole mediatiche” ai danni suoi e del partito: il leone che si maschera da agnello. Eppure la materia sembra acerba. Santoro riesce a controbattere, urla più forte di Berlusconi, fino a quando il conduttore stesso non intima alla regia l’immediata chiusura della telefonata. È a tal punto che Berlusconi perde le redini del match, gridando spazientito un’altra delle sue frasi celebri: “Santoro, si contenga: Lei è un dipendente del servizio pubblico”. Anche in evidente difficoltà, il Cavaliere trova, causalmente o meno, una formula lessicale capace di perdurare nella semplicistica memoria mediatica del Paese.
"Santoro, si contenga"
La prima telefonata in diretta dell'ex premier
La presenza fisica è, invece, materia meno estesa da trattare. A parte i monologhi di Porta a Porta e una “scaramuccia” con D’Alema e Rutelli a una puntata di Ballarò del 2005, il premier non si è quasi mai concesso agli studi televisivi dove fossero presenti rappresentanti delle forze d’opposizione. Quando, però, ciò è accaduto, seppur edulcorato nelle forme di un incontro scandito da tempi e modalità precise (il confronto pre-elettorale con Romano Prodi nel 2006) che direzione ha preso l’imprevedibile verve comunicativa? In molti pensavano a una debacle mediatica dell’allora primo ministro. Un confronto dove la durata degli interventi era predefinita e dove l’esposizione calma e ragionata appariva preponderante, non era il terreno di gioco ideale per un istrione come Berlusconi, più avvezzo a parlare alla “pancia” che alla “testa” del suo elettorato. Eppure, anche stavolta, la guida del futuro Pdl seppe rivoltare a proprio favore le condizioni avverse, attraverso una strategia simile a quella delle telefonate: riservando a sé stesso l’ultimo intervento, non dando all’avversario la possibilità di rispondere, se non nelle forme edulcorate e assopite della dichiarazione giornalistica.
La disputa con Prodi: "Aboliremo l'Ici"
Sguardo ammiccante, ghigno soddisfatto e dito puntato. Berlusconi consegna un'altra frase all'immaginario collettivo del Paese
Gli anni passano. Internet imprime un’improvvisa accelerazione ai processi mediatici che, dall’ultimo governo Berlusconi in poi, diventano sempre più difficilmente gestibili da chi pure dispone di un consistente impero televisivo. È qui che si frappone la discontinuità nel berlusconismo urlato sul piccolo schermo, il punto di rottura che segna un passaggio ancora più profondo di quello avvenuto dalla prima alla seconda Repubblica: una transizione verso quella che alcuni commentatori hanno definito come “Politica 2.0”, a sottolineare come la partecipazione degli elettori tramite i moderni mezzi di telecomunicazione fosse ormai una componente imprescindibile nelle moderne democrazie occidentali. La televisione rimane un medium fondamentale, ma da sola non basta più. Berlusconi vede così crollare il tanto amato principio dell’unidirezionalità. La comunicazione diventa “social”, cosa di cui il premier non comprende per tempo gli effetti.
Berlusconi e internet: la scoperta di "Gogol"
Così l'ex premier pronuncia il nome del celebre motore di ricerca
Lapsus freudiano? Un involontario omaggio al celebre autore russo? O, più probabilmente, un marchiano strafalcione dovuto alla poca dimestichezza con il panorama del web? In ogni caso, il declino del "grande comunicatore" comincia qui. Da uno spazio di relazioni reali che in troppi hanno ridotto e sottovalutato al mero svago virtuale. Non ultimo, il nostro ex primo ministro, esposto, durante il suo ultimo governo, al pubblico controllo di chi usa la rete come strumento di giudizio politico.