“Forza Italia c'è, esiste, gode di ottima salute e il suo leader si chiama Silvio Berlusconi che la governa con polso fermo”. Giovanni Toti, che vincendo in Liguria ha tenuto a galla il partito alle Regionali, è fra quelli, nemmeno tantissimi per la verità, che continuano a esporsi pubblicamente sul destino di Forza Italia. Gli altri si limitano a mezze verità, spifferi, suggestioni a fidi retroscenisti, suggerimenti a mezza bocca. O si defilano semplicemente. Anche in questo caso, però, c’è già una data: il 19 giugno 2016, quando si capirà se esiste ancora un orizzonte possibile per un progetto di centrodestra “alternativo”, rispetto all’asse populista / lepenista di Salvini e Meloni. Se cioè Parisi batte Sala e dimostra, agli italiani e agli “alleati”, che c’è una alternativa allo spostamento a destra dell’asse della coalizione.
Insomma, riprendere Milano per non compromettere definitivamente (?) un progetto politico che ha già subito una clamorosa battuta d’arresto con il flop di Marchini a Roma. La scelta di puntare su di lui alle Comunali, infatti, era poco altro che un tentativo di fermare lo scivolamento a destra, rilanciando il progetto della “grande casa dei moderati” e, in teoria, obbligando nuovamente Salvini e la Meloni a un ruolo subalterno. Come è andata a finire è cronaca.
Il malore di Berlusconi, poi, ha fatto il resto, accelerando la discussione sul “che fare di Forza Italia” e del progetto neo-centrista. A partire dalla questione del leader e della costante perdita di consenso, fino ad arrivare alle lacune costitutive: il mancato ricambio generazionale della classe dirigente, la separazione tra gli interessi politici e quelli delle aziende della famiglia, l’ambiguità delle scelte parlamentari, legate più alle necessità del momento che a delle chiare basi programmatico – ideologiche.
Qualche mese fa Berlusconi aveva provato a inserirsi in un percorso che altri, con impazienza e decisione, stavano percorrendo da tempo. Mettendo da parte l'orgoglio era tornato in piazza, supportando la manifestazione di Matteo Salvini a Bologna, nella speranza di legare il progetto politico del leader leghista alla sua presenza, presentandosi come garante del voto moderato. Nelle settimane successive, però, al fastidio di Salvini (che ha sempre ribadito, anche ai nostri microfoni, di considerare chiusa l'esperienza di Berlusconi come leader del centrodestra) si erano sommati i "consigli" dei fedelissimi, che vedevano nell'orizzonte politico salviniano un futuro di subalternità e calo dei consensi. Il Cavaliere si era così convinto, "appoggiato" dal cerchio magico, di poter nuovamente dettare la linea e si era lanciato nella mischia. Il "caso Bertolaso", evidentemente, nasce da tale ragionamento.
Qualcuno aveva ipotizzato che potesse essere proprio Marchini a raccogliere l'eredità politica di Silvio Berlusconi. Ipotesi ardita, ma in ogni caso cassata dagli elettori romani. Che però la "pista interna al partito" sia debole, anzi debolissima, è più di una suggestione. E una conferma arriva in queste ore da Fedele Confalonieri, che conosce qualcosina, diciamo: "Berlusconi è una straordinaria anomalia, e la successione, se mai ci sarà, non potrà che essere anomala come tutto il resto".
Che intende Confalonieri con "successione anomala", dunque? Probabilmente lo stesso scenario di cui si era parlato dopo la decadenza da senatore: la "successione dinastica". Berlusconi è ineleggibile per altri tre anni, con l'attuale legge, ma il "nome" e il legame con le aziende di famiglia contano ancora molto per il partito. O meglio, "sono" il partito. È per questo che torna sempre il nome di Marina, cui si è affiancata la suggestione Luigi, rilanciata in queste ore da qualche retroscenista, anche se è praticamente sconosciuto ai più e certamente la sua promozione sarebbe quantomeno problematica.
La numero uno di Mondadori spazzerebbe via il cerchio magico e l'attuale gruppo dirigente di FI, ma difficilmente accetterebbe un'avventura da prefisso telefonico. Certo è che intorno alla sua figura si potrebbe reimpostare quell'operazione di marketing che funzionò perfettamente col padre, oltre che una ricostruzione del fronte moderato in chiave "terzopolista", con la riaggregazione delle frange centriste dei vari Fitto, Casini e forse anche Alfano.
L'alternativa? La lotta intestina che sfocerebbe in guerra fra bande sul territorio, accelerando la disgregazione del consenso. Verso destra e verso Renzi.