Una delle frasi piu spesso ripetute nelle aule parlamentari ai tempi della Prima e Seconda Repubblica da esponenti politici di ogni schieramento è "i cittadini ci chiedono" oppure “gli italiani hanno il diritto di sapere“. Il luogo comune di una politica la cui rappresentatività e trasparenza è da tempo ai minimi storici è rimasto per anni poco più di un intercalare verbale per poi rafforzarsi nella progressiva migrazione della politica dai luoghi deputati ai talk show televisivi. Negli ultimi vent'anni, dal berlusconiano contratto con gli italiani firmato negli studi televisivi di Porta a Porta fino al tripudio attuale di decine di talk show in prima serata nei quali la politica ed il suo racconto sono diventati l'offerta predominante, il trasferimento dell'elaborazione politica dal Parlamento alla TV ha proseguito il suo cammino di grande semplificazione. Ogni problema complesso, ogni faccenda articolata e difficile ha trovato una sua riduzione dialettica nei formati assertivi del breve motteggio televisivo: una dialettica espressa non più solo dal solito "i cittadini ci chiedono (quali cittadini? chiedono a chi?) ma nella replica urlata del contendente seduto lì accanto nello studio TV o nella mortificante concisione richiesta a gran voce dal conduttore che deve "mandare la pubblicità".
Nessuno sembra sentirsi offeso per una politica ormai ridotta a slogan generico e vago fra una interruzione pubblicitaria e l'altra, tanto che alla migrazione del discorso poltico dai tecnicismi delle commissioni parlamentari ai salotti TV è seguita la sua ulteriore e più raffinata degenerazione: lo streaming TV, parto della retorica grillina poi più o meno silenziosamente riconosciuta anche dal PD. Rispetto allo sgarbismo dei talk show televisivi, ormai per note ragioni farmacologiche frequentati in massa da professionisti dello sberleffo o della frase ad effetto, lo streaming introduce una ulteriore ambiguità. Mentre in TV la politica va in buona misura a spiegare ai telespettatori le proprie decisioni, con il taglio divulgativo adatto al popolo, negli incontri in streaming la politica registra se stessa nel corso della propria prestazione professionale o così almeno vorrebbe far credere ai tanti che si affacciano su internet a seguire questo nuovo inedito show.
Anche qui assistiamo al medesimo processo di semplificazione ma, a differenza di quanto accade in TV dove la politica, teoricamente composta altrove, dovrebbe essere solo comunicata, l'occhio della webcam, nelle intenzione dei sacerdoti dello streaming, racconta in diretta e senza filtri il momento stesso dell'elaborazione, porta a casa dei cittadini il racconto di quanto li riguarda nel momento in cui sta “davvero“ accadendo.
Ma se, come è ovvio, la decisione politica non è né semplice né immediata e richiede spesso laboriose mediazioni e approfondimenti, prese di distanza e improvvisi riavvicinamenti, tempi lunghi e ripensamenti, e senza bisogno di arrivare alla nota definizione di Rino Formica che nella sua crudezza dava ben conto della complessità del contesto, è evidente che lo streaming di incontri fra le parti, di gran moda di questi tempi, è solo l'ennesimo colpo di teatro a danno dell'intelligenza dei cittadini. Che forse non meritavano Pierferdinando Casini che spiegava ogni sera al TG cosa gli italiani gli chiedevano, che certo non dovevano accontentarsi della riduzione catodica (esistessero ancora i tubi catodici) delle decisioni per il Paese in forma di slogan urlato, ma che davvero e senza alcun dubbio non meritano la fandonia digitale della decisione politica immortalata dalla bassa definizione di una webcam.
Che l'idolatria insensata di Beppe Grillo nei confronti delle virtù terapeutiche di Internet, architettura automaticamente liberatrice da ogni malaffare, facesse proseliti anche altrove è probabilmente un segno dei tempi. In attesa che il cortocircuito logico finalmente si compia ed i cittadini, come nei peggiori deliri populisti, decidano in tempo reale da dietro uno schermo le mosse delle loro marionette parlamentari.