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L’ennesimo (inutile) ultimatum della minoranza Pd a Renzi: “O si cambia, oppure…”

Da Bersani a Fassina, passando per D’Attorre e la Bindi, tutti d’accordo: il sì sulla riforma costituzionale alla Camera è stata l’ultima concessione a Renzi. Una minaccia a salve, tutto sommato.
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“Una ulteriore prova di responsabilità”: così Pier Luigi Bersani ha definito il voto favorevole della minoranza del Partito Democratico al ddl di riforma della Costituzione che porta la firma di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Un voto favorevole, quello che sancisce il via libera alla Camera del provvedimento già approvato dal Senato, espresso “confidando sulla possibilità di migliorare la legge perché per noi doveva rimanere aperta la discussione sull'art.2 sulla composizione del Senato”, dal momento che, ha spiegato sempre Bersani, “adesso il Patto del Nazareno non c'è più e non si può dire che non si tocca niente”. Sulla stessa lunghezza d’onda sia D’Attorre che la Bindi, altri due esponenti della minoranza del Partito Democratico che hanno preso la parola durante la discussione per marcare il loro voto “favorevole ma con riserva” al disegno di legge costituzionale che ridisegna l’architettura istituzionale.

Insomma, tradotto in parole povere, questo è stato l’ultimo “regalo” al Presidente del Consiglio: a partire dalla discussione alla Camera dell’Italicum, o si cambia registro oppure la minoranza è pronta anche a votare contro. Un ultimatum, più o meno. Del resto, come nota Civati, la scelta di votare favorevolmente oggi non ha un valore secondario, ma legittima quasi del tutto il percorso di riforme della maggioranza, soprattutto considerando che adesso quasi “l’intero testo risulta inattaccabile”. Spiega il deputato del Partito Democratico (che non ha votato la riforma):

La Camera ha modificato solo in alcuni pochi punti specifici (che non cambiano in nulla l’impianto della riforme), per cui su quasi tutto il testo risulta ormai definitivo. Non modificabile nel prossimo passaggio (ancora in prima lettura) in Senato. La Camera che, lo ricordiamo, ha già deliberato una volta (cioè il Senato, l’8 agosto) non può re-intervenire sulle parti non modificate dalla seconda (cioè la Camera dei deputati, il 10 marzo)

Insomma, la minoranza sta chiedendo “dopo” di cambiare un testo che non si può più cambiare, almeno nelle sue linee essenziali. Nei fatti, quella di oggi è una sconfitta evidente. La battaglia a questo punto “dovrebbe” spostarsi sul passaggio alla Camera dell’Italicum, su cui pure la minoranza aveva dato battaglia al Senato. In quel caso furono i voti di Forza Italia a salvare Renzi, in particolare sull’emendamento Gotor sulle liste bloccate (sottoscritto da 29 membri del PD) e su quello Esposito, il super canguro che tagliò 36mila proposte di modifica dalla discussione. Stavolta, invece, i forzisti dovrebbero far mancare i loro voti e dunque Renzi potrebbe, anzi dovrebbe, aver bisogno di tutto il partito per portare a casa la legge elettorale. La minoranza, però, chiede modifiche soprattutto sulle preferenze e continua ad aver dubbi sulla tempistica di entrata in vigore dell'Italicum.

L'idea, che sarà variamente declinata nelle prossime settimane, è che dal combinato disposto tra legge elettorale e riforma del Senato venga fuori una sorta di modello iper-maggioritario con parlamentari "nominati" per la loro quasi totalità (infatti, come sostiene Gotor, con i capilista bloccati e i 100 collegi, le preferenze varranno praticamente solo per il partito che vincerà le elezioni). Il punto è che non c'è alcuna certezza che l'Italicum venga modificato, soprattutto perché non si capisce quale sia la forza contrattuale della minoranza, considerando che i numeri reali sono molto lontani da quelli suggeriti da Brunetta (difficile che siano 70-90 i deputati ribelli) e che non è ancora detto che Berlusconi voti contro una legge elettorale che continua a dargli determinate garanzie (sul controllo degli eletti, soprattutto). 

Così ancora una volta sembra possano stare sereni solo i renziani, che continuano a proporre il modello della "discussione negli organismi competenti" cui far seguire "conseguentemente il voto" in ossequio alla disciplina di partito (versione 2.0, ovviamente). Del resto, come nota amaramente Civati, la battaglia della minoranza "è sempre la prossima". E quello di oggi è l'ennesimo "penultimatum".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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