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L’ennesimo anno orribile della politica: 12 mesi tra immobilismo, fallimenti e propaganda

Non c’è dubbio, il 2013 sarà ricordato come l’anno del trionfo della propaganda sulla verità e sulla decenza. E se la politica è in cerca di buoni propositi…
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Qualche anno fa, uno dei ritornelli più diffusi negli interventi di politici e commentatori recitava più o meno così: "È a rischio la tenuta del tessuto sociale del Paese, nonché la messa in discussione dei fondamenti culturali che hanno reso grande l'Italia". I nemici erano "la demagogia", "il populismo che avanza", il "qualunquismo" ed il pensiero debole di chi rifiuta "il concetto di responsabilità in nome di illusioni e vaneggiamenti escatologici". Poi, più o meno ad intervalli regolari, compariva il vero totem della comunicazione politica: la speranza. "Restituire la speranza", "far rinascere la speranza" sono tra i "grandi classici" della proposta politica, da destra a sinistra, passando per il centro e finendo "oltre". Che sia di matrice ideologica o post ideologica, insomma, la propaganda si nutre sostanzialmente degli stessi concetti.

Parafrasando Lowith (in "Significato e fine della storia"), diremmo che anch'essa "è un male che sembra tuttavia buono, perché induce sempre ad attendere qualcosa di meglio". Eppure, come per la speranza, "sembra vano aspettarsi un futuro migliore, perché difficilmente si dà un futuro che, quando diviene attuale, non deluda le nostre speranze". Va da se, che come riconosciamo che "le speranze sono cieche, cioè irrazionali ed erronee, ingannevoli e illusorie" e non possiamo vivere senza, allo stesso modo i politici, pur consci della strumentalità e mediocrità della propaganda, proprio non riescono a farne a meno. E, come la speranza, ancorché cieca, aiuta l'uomo a sopportare la vita, la propaganda tiene letteralmente in vita una politica vuota, inetta, incapace di risolvere i problemi e dare risposta ai cittadini.

Il problema è che siamo talmente assuefatti a questo modo di comunicare e di vivere la quotidianità che accettiamo senza battere ciglio ogni scivolamento verso il basso dell'asticella della decenza. Un'asticella che, tra l'altro, sembra non avere limiti verso il basso, per l'assioma secondo cui, una volta toccato il fondo si comincia senza indugio a scavare. E non c'è nemmeno da illudersi che, di colpo, ci risveglieremo rendendoci conto di quanto alte siano le pareti della buca in cui siamo precipitati. Perché, nella sostanza, siamo oltre il paradosso della rana in pentola, dal momento che si tratta di una condizione che non possiamo far altro che alimentare ed ogni movimento ogni atto è inesorabilmente orientato, anzi generato, da quello stesso sistema che pure ci illudiamo di "combattere".

Così finiamo per abituarci all'utilizzo del tutto strumentale di concetti come responsabilità, stabilità, discontinuità, rinnovamento generazionale, senza renderci conto di quanto essi stessi siano ormai svuotati di qualunque significato. Prendiamo ad esempio la comunicazione di Governo, maggioranza ed opposizione negli ultimi mesi. Da una parte c'è l'esecutivo della "responsabilità", quello perennemente chiamato a salvare il Paese sull'orlo del baratro, grazie alla ripresa che arriverà "il prossimo anno" (la citazione è da un discorso di fine anno "a caso"). Lo stesso esecutivo che chiama "abolizione del finanziamento pubblico" la sua ridefinizione tramite la cancellazione dei rimborsi elettorali diretti, oppure "reddito minimo garantito" il rifinanziamento della social card e che discute per mesi dell'abolizione di una tassa (Imu) comune a quasi tutti i Paesi del globo terrestre, mentre la disoccupazione giovanile è al 40% e via discorrendo (ci fermiamo perché abbiamo già superato il limite consentito di "benaltrismo").

La maggioranza è invece pervasa dal sacro demone della responsabilità, "perché il Paese non può permettersi un salto nel vuoto", perché "ce lo chiede l'Europa" e via discorrendo. Ed è finanche paradossale come tutto sostanzialmente giri intorno all'autoconservazione della stessa classe dirigente che questi danni li ha creati, così come il fatto che i nemici di ieri diventino di colpo "alleati responsabili" e poi nuovamente i nemici di sempre. Tutto nel giro di qualche settimana, ovviamente.

All'interno dell'opposizione invece è sempre lotta senza esclusioni di colpi per accaparrarsi i trofei del benaltrismo e del qualunquismo, in una gara serrata dove a farla da padrone è il populismo, con una abbondante spruzzata di demagogia. Un copione che va in scena da anni ma che quest'anno si è arricchito della partecipazione del Movimento 5 Stelle, che ha sdoganato il vilipendio, l'insulto, la rissa verbale: tutto in nome di una pretesa superiorità morale. Costringendoci a parlare per mesi di diarie e bruscolini, a farci largo tra il preteso post-ideologismo e un verticismo imbarazzante, tra proposte di grande impatto e un utilizzo strumentale della presenza in Parlamento che non ha eguali.

Certo, nessuno dimentica il quadro d'insieme, la ristrettezza dei margini di manovra, il disastroso retaggio del passato e la complessità di un cambiamento di marcia. E ci sono pochi dubbi sul fatto che le responsabilità siano sempre diffuse e condivise. Ma la politica ha il dovere della dignità. Ha il dovere della trasparenza anche nella comunicazione e dell'onestà nel rapporto con i cittadini. Ha per costituzione l'onere e l'onore del servizio, della mediazione delle istanze, della proposta e il dovere della decisione finale. E ha, o dovrebbe avere, il dovere di parlare il linguaggio della verità. Sempre, a tutti i livelli.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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