“Ha l'intelligenza di un posacenere vuoto” ha detto al quotidiano francese Libération Sven Mary avvocato belga di Salah Abdeslam, il terrorista degli attentati del 13 novembre a Parigi. Questa e altre formule che finiscono nei titoli con l'epiteto “choc” hanno fatto il giro del mondo. Confezionate su misura per i media, che l'avvocato Mary manipola alla perfezione, sembrano piuttosto una linea difensiva:
“Tutti, a partire dal procuratore della Repubblica di Parigi, considerano Salah come uno dei principali, anzi il principale organizzatore degli attentati di Parigi, mentre non ne ha assolutamente i mezzi intellettuali”
E poi: “E' uno stronzetto di Molenbeek uscito dalla microcriminalità, un gregario e non un leader”.
Ma a chi gli ha chiesto se non fossero un po' forti quelle definizioni rivolte al suo cliente, l'avvocato Mary ha candidamente confessato ieri a margine di un'udienza:
“Se avessi detto al giornalista di Libération che Salah Abdeslam non aveva né la testa né le spalle per immaginare, preparare, organizzare gli attentati scandalosi di Parigi, la frase non sarebbe stata ripresa da nessuno. Ho avvertito il mio cliente – che mi ha dato il consenso – che avrei utilizzato una formula forte per far passare il nostro comune messaggio. Da cui poi sono derivate tutte queste immagini colorite. Oggi me lo rimproverano, e mi accusano di aver umiliato Abdeslam. Dicono che io lo disprezzi e che io sia diventato un avversario anziché suo difensore, ma lo ripeto, me ne assumo tutta la responsabilità: era un modo spettacolare per dire che Salah non può essere colui che ha concepito gli attentati e che aspetto ancora che si producano le prove che mostrino che lui possa essere il responsabile”.
Anzi, di più. Secondo questo avvocato fiammingo di 44 anni: “Non è la corte d'assise di Parigi che dovrebbe giudicare, ma una corte penale internazionale. Queste persone hanno compiuto un'azione di guerra".
E a proposito della sua scelta dice con chiarezza:
“Ciascuno ha diritto a essere difeso, ma ci sono delle cause che non avrei potuto seguire, come la difesa di nazisti: mio nonno fu deportato. Stessa cosa per i negazionisti, i razzisti, i fascisti”.
In Francia dove il jihadista è stato trasferito in isolamento nel carcere di Fleury-Mérogis la più grande galera d'Europa (nell'Essonne), accusato di: “associazione a delinquere terrorista con l'obiettivo di preparare uno o più crimini e attentare alla vite delle persone; di omicidi e tentativo di omicidio in banda organizzata in relazione con un'impresa terroristica, e sequestro di persona” sarà difeso dall'avvocato di Lille, Frank Berton, a sua volta gran principe del foro francese, consigliato a Salah dallo stesso Sven Mary.
Cosa spinge questi avvocati di successo, notissimi in patria, a difendere un terrorista sul quale si è addensato finora tutto l'odio, e il rancore dell'opinione pubblica mondiale per le stragi avvenute a Parigi e a Bruxelles? Cosa li porta a gestire questi dossier così complicati? Soprattutto: chi li paga? Alcuni che in passato si sono cimentati col terrorismo hanno mollato strada facendo per disgusto sopraggiunto. Altri si lasciano coinvolgere senza peli sullo stomaco, ma ben altra complessità sono queste due figure che si apprestano a difendere Salah per le accuse che gli fa il Belgio e la Francia.
“Sono un avvocato, me ne frego della fama. Se fossi stato al corrente degli attentati di Bruxelles (avvenuti tre giorni dopo l'arresto di Salah), non avrei neanche cominciato a occuparmi di questo dossier. Quando Abdeslam sarà in Francia, non so se continuerò (a quanto pare non è vero: continua). Non è facile perché questa difesa non mi porta niente, solo rogne: sono stato aggredito in strada sia verbalmente che fisicamente. Due tizi mi hanno aspettato fuori del mio studio, c'è stato uno scambio di cazzotti, ma per fortuna so difendermi. La polizia deve scortare le mie figlie a scuola". E poi, dice al giornalista di Libé che lo intervistava in un luogo pubblico: “guardi lo sguardo di odio attorno a noi, come se io stesso fossi Abdeslam…”. Contattato dal fratello di Salah, non ha una gran stima del suo assistito, né sul piano umano e men che meno come categoria di delinquente: “Ho difeso Abdelkader Hakimi, originario anche lui di Molenbeek, un membro del GICM (gruppo islamico combattente marocchino) condannato nel 2006 a 8 anni di prigione per aver garantito la logistica degli attentati di Madrid e che dopo essere stato liberato si trova alla frontiera siriana dove ha aperto una scuola per combattenti. Era un tipo di tutt'altra tempra di Abdeslam, un combattente vero che ha fatto la guerra in Bosnia. Niente a che vedere con “le petit Rebeu” (è lo slang per definire gli arabi di seconda generazione nati in Francia o in Belgio). Ho difeso delinquenti del gran banditismo.Tutta un'altra cosa: sono persone con le quali si può parlare, che hanno una storia”. E finisce anche col vantarsi di aver trascorso una giorno di Natale con uno dei mafiosi che ha assistito "era solo e abbiamo passato una serata eccellente".
E' evidente che la famiglia Abdeslam non ha minimamente i mezzi per potersi pagare parcelle di avvocati di questa portata né è ipotizzabile un qualche finanziatore giacché Abdeslam si sta apprestando a collaborare con la giustizia, contro i suoi stessi mandanti.
La stessa cosa quindi vale per l'attuale difensore francese, Frank Berton, 53 anni, di Lille, notissimo in patria per la competenza e la brillante difesa di casi mediatici di grande risonanza. L'ultimo, nel 2015, in cui ha difeso Dominique Cottrez, la madre accusata del più grave infanticidio mai giudicato in Francia: 8 neonati, per i quali è riuscita a cavarsela solo con nove anni di carcere.
Berton ha incontrato il collega in Belgio che gli ha passato il testimone per la parte francese. Non dà un'opinione sull'intelligenza del suo assistito (né smentisce quella del collega) ma sulla sua predisposizione a collaborare, e dice a Le Monde:
“Ho incontrato un ragazzo afflitto che ha mostrato una reale volontà di spiegarsi sia sul suo percorso di radicalizzazione che sui fatti: il 13 novembre, e i giorni che hanno preceduto e seguito. Se fosse stato in una posizione di rivendicazione, non l'avrei difeso. Ma è d'accordo con abbordare il fondo dei fatti. Noi potremo scrivere una pagina interessante della giustizia, in particolare per le vittime. Per questo ho accettato di difenderlo”.
E a chi si domanda chi paga i suoi onorari, l'avvocato Berton risponde al telegiornale delle 20 su France2 “il patrocinio viene garantito a tutti i clienti che non hanno i mezzi per pagare la loro difesa”. Pertanto sarà lo Stato francese ad oggi, a pagare le spese della difesa di Salah.
Se la cosa potrà fare orrore a molti la democrazia passa anche attraverso l'affermazione di questo principio.