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Opinioni

L’autista che non vuole migranti sul bus e la sensazione di non sapere che fare

Sabato mattina ho preso un pullman, finendo con il litigare con l’autista che non voleva far salire alcuni migranti, malgrado loro volessero comunque pagare il biglietto. Una storia come tante, come troppe a quanto pare. Che forse però vale la pena di raccontare.
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Foto di repertorio - Gruppo di migranti trasferiti a Trapani
Foto di repertorio – Gruppo di migranti trasferiti a Trapani

La storia è piuttosto semplice e, probabilmente, nemmeno così tanto insolita. Sono nato e cresciuto in un piccolo paesino di provincia, nel quale torno appena possibile per staccare un po’ dal caos della città. Viaggio con i mezzi pubblici, da 15 anni circa, grazie all’unica autolinea in servizio sulla tratta che collega la mia zona a capoluogo di provincia e Regione.

Da qualche tempo nella zona sono ospitati circa 200 migranti, in varie strutture di accoglienza di diversi Comuni. La scelta (una "novità" per una zona in cui la percentuale di stranieri è bassissima) ha provocato polemiche da parte di alcuni Sindaci: quello di Guardia Sanframondi ha invitato i cittadini a non mettere a disposizione immobili per l’accoglienza, l’ex Sindaco di Cerreto Sannita ha diffuso un manifesto in cui assicurava di voler impedire con ogni mezzo il “bivacco dei clandestini” nel proprio Comune (rilasciando poi il "modulo per portarsi a casa i migranti"), il Sindaco di Castelvenere ha minacciato le dimissioni e via discorrendo. Va anche detto che alcune scelte della Prefettura sono molto discutibili: oltre 100 persone in un paesino di 2400 abitanti, gestione affidata a una cooperativa già “segnalata” in passato, scelte imposte senza condivisione, riunioni per “minacciare” i Sindaci. Tuttavia, salvo casi sporadici, non si sono mai registrati episodi clamorosi di intolleranza o vero e proprio razzismo.

Non so dire se “il clima stia cambiando” anche qui. Per ora mi limito a interpretare quello che mi è successo come un segnale.

Sono sul pullman, sull’ultima corsa di giornata, in tarda mattinata. La vettura è semivuota e il conducente è “nuovo”, non credo di averlo mai visto prima, anche perché difficilmente torno a Napoli il sabato mattina. Ultimamente qualche gruppetto di ospiti delle strutture di accoglienza prende l'autobus per Napoli o Benevento, non so perché o per fare cosa. Saranno fatti loro, in fin dei conti. E anche stamattina, evidentemente, lo sono.

A un certo punto mi sembra che l’autista salti una fermata. Me ne accorgo ma non voglio pensare che sia perché gli unici nei pressi fossero 2 migranti. Boh, mi dico, forse erano lì per caso. Dopo qualche chilometro però si ferma, sale una signora anziana e provano a farlo 3 ragazzi stranieri.
Lui li ferma, dicendo che se non hanno il biglietto non possono salire. Loro fanno capire di volerlo comprare a bordo, cosa possibile e prevista dall'azienda che gestisce la tratta. Lui dice che non ha biglietti e devono prendere il prossimo (che non esiste, è l'ultima corsa per Napoli).

Intervengo, dicendo all'autista che è lui a essere in difetto e che questo è un servizio pubblico e loro hanno diritto di salire. Si altera, mi dice di farmi i fatti miei. Insisto, mi dice di fare il passeggero e basta. Gli dico che sono anche un giornalista (perdonatemi, lo so, al posto suo avrei risposto con una pernacchia…). Mi dice di voler chiamare la polizia, lo invito a farlo.

Poi si convince, li fa salire spiegandogli che dovranno fare il biglietto appena giunti al capolinea. Loro salgono, non capiscono molto; uno dei tre continua a ripetere "take the money" e si arrabbia con me credendo che io abbia protestato per non farli salire. Provo a spiegare, poi mi arrendo: si procede con l'autista che bofonchia insulti verso di me ("salvatore della patria di ‘sto cazzo", tra i più originali), i tre che mi danno del razzista, gli altri passeggeri che si lamentano del tempo che hanno perso. Insomma, alla fine ho messo d'accordo tutti: nell'insultarmi, certo. Pazienza, non era questo che contava.

Dovendo soltanto aspettare di scendere dal pullman, ho fatto quello che fanno tutti quando non sanno che fare: ho scritto su Facebook quello che mi era appena capitato. E sono stato sommerso di complimenti, apprezzamenti, ma anche consigli, suggerimenti, indicazioni. Alcuni amici mi spiegano come si tratti di un comportamento diffuso, in particolare sulle corse del litorale e nelle zone a più alta densità di migranti / richiedenti asilo / ospiti delle strutture di accoglienza. E la cosa mi ha fatto molto riflettere, tanto da farmi scrivere questo pezzo.

In effetti la prima richiesta è stata quella, scriverne, metterlo sul giornale, in modo far conoscere a più persone possibile ciò che mi era capitato. Ma si può scrivere l'ovvio? È una notizia l'aver chiesto a un autista di rispettare i diritti di una persona, o aver preteso che non ci fossero discriminazioni nell'usufruire di un servizio pubblico? Obiettivamente non credo di aver fatto chissà cosa, né di meritare encomi o elogi. Però, ecco, la sensazione è che siamo così assuefatti alla "narrazione tossica" sui migranti da non saper più riconoscere nemmeno la normalità. E abbiamo un disperato bisogno di storie che ci riconcilino con essa, di segnali che ci dicano che non tutto è perduto, che non siamo diventati una massa di intolleranti, cinici e insensibili. Segnali piccoli, granelli nel mare, niente di più, forse.

Poi c'è il secondo passaggio: "Segnala all'azienda". Ecco, ho pensato anche a questo, è stata una delle prime cose che mi sono promesso di fare. Poi ci ho riflettuto e mi sono chiesto fino a che punto fosse giusto mettere in pericolo il posto di lavoro di una persona (o quantomeno causargli problemi) senza sapere nulla di più. Senza conoscere la sua situazione, il suo background, le motivazioni che lo hanno spinto ad agire così (è una direttiva? È un comportamento abituale?), senza poter dire se il suo sia "razzismo" o semplice insofferenza, stanchezza, o chissà che altro.

Dite che ho troppi dubbi? Che voglio complicare un ragionamento che dovrebbe essere più semplice? Non ne sono sicuro. Perché il punto è anche quanto riusciamo a essere intransigenti con gli altri e quanto poco lo siamo con noi stessi o con coloro che consideriamo "vicini alla nostra causa". Sia chiaro, non è mia intenzione sminuire la rilevanza di comportamenti del genere, ma non riesco a togliermi dalla testa l'idea che anche chi li commette sia una vittima: di un clima creato da giornali e media, da populisti e sciacalli, da chi ha interesse alla guerra tra poveri. È un pensiero deresponsabilizzante, mi rendo conto. Ma è un tarlo continuo, che mi accompagna ogni volta che mi inabisso in discussioni di senso con chi, commentando i miei pezzi, mi scrive cose del tipo "prima gli italiani!", "perché scappano invece di combattere!?!?", "portateli a casa tua!1!!!!1!!". Un'idea, un dubbio, che mi fa pensare che sia necessario presidiare i luoghi della discussione e non abbandonarli bollando come "razzisti", "idioti", "imbecilli" chi interpreta un pensiero diverso o dà sfogo a rabbia e frustrazione.

"Perché non hai denunciato il tutto alla polizia?" Anche questa, in effetti, è una domanda alla quale non so dare una risposta che non sia cervellotica e in parte contraddittoria. Forse chiamare subito le forze dell'ordine sarebbe stata la scelta migliore. O forse no. So solo quale ragionamento io abbia fatto in quel momento. Perché se è vero che gli abusi vanno sempre denunciati, allo stesso tempo è come se mi fossi sentito investito delle conseguenze. Non solo (non tanto) per l'autista (per quanto detto prima, insomma), ma anche per i ragazzi. E se non fossero stati "a posto" o in regola con i documenti? Se gli fosse stato vietato di lasciare la struttura o quantomeno gli fosse stato consigliato di non allontanarsi troppo? E se invece di aiutarli, avessi semplicemente alzato un polverone controproducente?

Insomma, per farla breve e risparmiarvi qualche altro migliaio di riflessioni e considerazioni, la cosa interessante sarebbe capire cosa avreste fatto voi. Come cioè immaginate ci si debba comportare in un caso del genere. E, soprattutto, se pensate che tocchi a voi, a noi cittadini, intervenire; se ne valga la pena, se si tratti di una scelta giusta o se invece non si finisca per irrigidire le posizioni, trasformare la vita quotidiana in uno scontro fra bianco e nero. Che è l'ultima cosa di cui avremmo bisogno e che invece sembra un destino ineluttabile.

[Prima che cominciate: certo, ci sono i casi "opposti", c'è gente che non paga il biglietto e insulta i controllori, c'è chi si approfitta della propria condizione. E non solo sui bus e sui treni, mi sembra scontato.]

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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