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Opinioni

L’asse PD-Carlo De Benedetti contro Google

L’asse PD-De Bendetti sostiene la web tax per attaccare Google.
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Da qualche giorno il web italiano è animato dal dibattito sulla web-tax (detta anche Google-tax); dalla nuova delibera AgCom e, non ultimo, dal decreto "Destinazione Italia" che prevede una remunerazione da parte di Google in cambio dell'indicizzazione dei contenuti dei giornali iscritti alla FIEG.

In altri termini stiamo assistendo ad una vera e propria crociata contro Google che viaggia sull'asse PD-Carlo De Benedetti. Non è un caso che il patron di Repubblica sia sceso in campo, in prima persona, a sostegno dell'emendamento firmato da Boccia. Un intervento forte, vigoroso, fatto da uno dei principali imprenditori nazionali nonché Presidente del principale gruppo editoriale del paese.

L'intervento di De Benedetti è un segnale forte lanciato alle istituzioni in primis e a Renzi in secundis il quale, durante l'Assemblea Nazionale del PD, era intervenuto per bocciare la norma. L'articolo del Presidente del Gruppo Repubblica-L'Espresso è un intervento che potremmo definire "di linea", atto a tracciare il solco lungo il quale si muoverà non solo lo stesso De Benedetti ma la FIEG più in generale.

A sostegno di quanto scritto sull'Huffington Post dal patron della CIR, Gianni Valentini, dalle colonne di Repubblica, loda l'emendamento come un modo per combattere l'evasione via internet.

"Piuttosto, la norma introdotta nella legge di Stabilità tende a combattere l'evasione via Internet, per difendere la concorrenza sul mercato interno e contribuire magari a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro"

Un articolo che – in lunghi passaggi – distorce il contenuto della norma (non si parla mai di beni, ma solo di servizi) e che, inoltre, paventa lo spettro dell'evasione fiscale – termine alquanto azzardato poiché Google le tasse le paga -. Uno spettro che è figlio di normative europee e pertanto Google – così come Facebook e altri – si muove all'interno di un perimetro normativo consentito dall'Unione Europea.

De Benedetti, così come Valentini, ha piegato i tre paragrafi scritti da Boccia per denunciare "l'evasione" perpetuata da Google. Ha utilizzato una norma – scritta male – per mettere sotto i riflettori il "nemico Google" contro il quale il suo gruppo, e la FIEG più generale, combatte una decennale battaglia.

Una battaglia che non ha nulla a che vedere con la GoogleTax ma che in realtà mira a "piegare" Google alle volontà degli editori italiani.

Il mantra – che da dieci anni ripete la FIEG – è: "Google è un nostro competitor, per utilizzare i nostri contenuti ci deve pagare". Per quanto possa sembrare incredibile gli editori italiani si reputano concorrenti di Google. In altri termini un piccolissimo gruppo di "produttori di contenuto" reputa che chi indicizza quel contenuto sia un suo concorrente.

Per dare una misura di quello di cui parliamo dobbiamo dobbiamo ricordare che l'80% del contenuto indicizzato da Google è prodotto dagli utenti e solo il 20% del contenuto mondiale viene creato da gruppi editoriali/commerciali/etc… All'interno di questo 20% dovremmo scorporare la risibile parte prodotto in Italia e che – secondo la FIEG – Google dovrebbe remunerare. Perché Google dovrebbe remunerare gli editori e non quel'80% di user che – quotidianamente – crea contenuti che vanno in rete?

Ciò che lascia ancora più perplessi è l'idea per la quale aziende private – sempre desiderose di libero mercato – chiedano l'intervento dello stato per tutelare, non un principio generale, ma i propri fatturati.

Ciò che lascia perplessi è la richiesta da parte di uno dei più grandi imprenditori italiani di una legge "ad aziendam" che vada a colpire quello che egli stesso definisce un suo competitor. Quale sarebbe stata la reazione della rete se Berlusconi avesse provato ad esercitare la stessa pressione?

Sia chiaro non è in discussione il principio che Google debba pagare le tasse ma, in senso più ampio, l'idea che un gruppo di potere imponga al Governo l'emanazione di una legge che non ha nessun principio di universalità ma, anzi, mira a colpire un soggetto specifico.

Una legge che, inoltre, non chiarisce cosa si intende per servizi – si parla di link e banner -, perché un servizio è anche un software scaricato, un servizio è anche l'assistenza on line.

Ciò che lascia perplessi è l'esiguità della norma: 3 paragrafi che dovrebbero definire il perimetro

a) Di cos'è servizio;
b) Di cosa è tassabile e cosa no (perché palesemente la norma esclude i beni);
c) Come possa questa legge non interferire con la normativa UE sulla libera circolazione dei beni e dei servizi.

Ciò che lascia perplessi è che questo pacchetto di norme sia elaborato da un Presidente del Consiglio giovane e un onorevole quarantacinquenne. Ovvero una classe politica che dovrebbe levare il proprio sguardo al futuro piuttosto che alle tutele di agglomerati di potere.

Infine ciò che De Benedetti – e lo stesso Valentini – dovrebbe ammettere è che il terreno della partita non è quello delle tasse ma quello dell'innovazione. Qui non si tratta di far pagare il dovuto ma di attaccare – da più parti – un attore che più di ogni altro – insieme a Facebook – è riuscito a stravolgere le regole del web.

Dinanzi ad una rivoluzione copernicana assistiamo ad una reazione farraginosa, fatta di lobby e imprecisioni. Dinanzi ad una rivoluzione copernicana lo Stato italiano legifera in maniera scomposta, non precisa. Legifera sulla scia delle volontà dei gruppi di potere, commettendo errori madornali che, di certo, non aiutano un dibattito sereno intorno ad un nuovo quadro normativo.

Un dibattito sereno, che oltrepassi le logiche del liberismo, è necessario ma non può essere fatto con leggi fatte "ad aziendam".

Ripetiamo: se una legge simile l'avesse fatta Berlusconi cosa avremmo detto?

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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