L’architettura responsabile di Alison Crawshaw
«È un momento strano: le città sono in mano agli architetti decostruttivisti, quelli che privilegiano l’estetica e la funzionalità di un’architettura. (…) perché progettano col computer, in tre dimensioni, e (…) poi magari si dimenticano l’essenziale», urlava nel 2009 Beppe Grillo. Oggi il tempo delle archistar è finito. Nel mondo avanza una nuova generazione di architetti che vive nel mondo reale, che utilizza parole finora sconosciute ai grandi progettisti come responsabilità, ascolto, morale, riuso, autocostruzione, dignità e spazio pubblico. L’architettura è diventata sociale. E mentre gli studi di progettazione si confrontano con i temi che stanno modificando profondamente il nostro modo di vivere e di abitare – la crisi economica planetaria, gli insediamenti informali all’interno delle megalopoli, l’inquinamento, gli spazi vuoti da recuperare – l'architettura torna a essere un fondamento della morale. Non è più un’architettura autoreferenziale, ma, in compenso, esprime benissimo la società da cui nasce.
Alison Crawshaw è una giovane architetto britannica che lavora tra Londra e New York. Ha insegnato in alcune tra le più prestigiose scuole di archittetura come la Cambridge University, il Royal College of Art, la Bauhaus di Dessau e la Yale University. Ha realizzato installazioni ed edifici, oltre a progetti di sistemazione urbana e masterplan, che le sono valsi già vari riconoscimenti. Dal 2005, Alison fa parte dello studio di architettura Muf Architecture/Art; si tratta di uno dei più fantasiosi, radicali ed umoristici studi di architettura che esista allo stato attuale.
I progetti di Alison Crawshaw sono sempre concentrati sullo spazio pubblico, anche se riguardano un singolo edificio. Ogni edificio fa parte di una complessa rete nel tessuto territoriale, economico e sociale. Per identificare tutte queste interrelazioni, ogni progetto inizia con analisi quasi ossessive: ci sono interviste e colloqui con i residenti, utenti, passanti, clienti, associazioni, istituzioni e politici, i cui desideri, richieste, pareri e interessi sono resi visibili su mappe e diagrammi. Dopo l'analisi, si sviluppa una strategia di come si potrebbe meglio preservare i punti di forza, ridurre le carenze e usare le potenzialità del luogo. Sembra che la trentunenne architetto inglese sia già padrona di tutti gli strumenti dell’architettura, dell’arte, dell’urbanistica e della politica.
Con il suo progetto della ‘Barking Town Square', per lo studio Muf, vincitore del Premio Europeo Urban Public Space nel 2008, Alison ha attirato l'attenzione internazionale per la prima volta. A Barking, un sobborgo di Londra, ha progettato una piazza eclettica, nel senso migliore del termine: un progetto che tiene conto dell’ ambiente costruito, storico e sociale del luogo in modo riflessivo e allo stesso tempo sfacciato. Alcuni mattoni rimasti di edifici demoliti a Barking sono stati utilizzati per costruire un muro che sembra un rudere e, con la scultura di una pecora che domina sulla sua sommità, ci ricorda il passato di Barking. Una piccola foresta con 16 diversi tipi di alberi è illuminata elegantemente di notte. Da un lato, una galleria con pavimentazione bianca e nera evoca la grandezza di epoca edoardiana di Londra, e dall'altro collega la piazza con la nuova strada realizzata. Qui, la galleria è unica nel suo genere perchè non ospita negozi ma è semplicemente un bello e coperto spazio pubblico.
Nel 2010 Crawshaw ha ricevuto la Rome Scholarship per l’Architettura, un premio di ricerca con residenza. Infatti l’opera che l’ha portata sotto i riflettori internazionali guarda l’Italia, presentando un atlante dell’abusivismo edilizio nel nostro paese e più precisamente a Roma. Il lavoro consiste in una grande installazione che ha trasformato in uno spazio occupato illegalmente la facciata del Padiglione Centrale ai Giardini della scorsa Biennale di Architettura a Venezia: ’Big Balcony’. È un riferimento ai balconi-veranda abusivi che si trovano dappertutto a Roma. Sulla facciata viene proiettato un film, presente anche all’interno del Padiglione, intitolato ‘Volo sulla toponomia’, che è un volo in elicottero sulle ultime zone costruite senza permesso a Roma.
A Roma, la nozione di sviluppo consentito è dilatata. Le deroghe ai regolamenti di pianificazione sono riconosciute in un quadro sistematico e istituzionale e i piani regolatori sembrano documentare ciò che è stato costruito in loro assenza piuttosto che proiettare una visione ufficiale di città futura.
Nel progetto c’è anche una parte più ottimistica, che l’autrice ha chiamato ‘Sala d’incontro', e che esiste realmente a Valle di Borghesiana, uno degli insediamenti informali più ampi a Roma e dalla storia emblematica. Per molti versi, l’evoluzione di Valle di Borghesiana sembra rispondere perfettamente alla concezione dell’architettura come luogo dove la gente si incontra, vive, agisce. E si riflette perfettamente in quello che è stato il tema della 13 Biennale di Architettura: ‘Common Ground’. «L’Italia rimane la patria spirituale dell’architettura. – ha sostenuto David Chipperfield, curatore della Biennale – È qui che si può comprendere pienamente l’importanza dell’edificio non come spettacolo individuale, bensì come manifestazione di valori collettivi e scenario della vita quotidiana».
Oggi la professione di architetto sicuramente risulta, specialmente per i giovani professionisti, sottoposta a sfide e problemi nuovi, che si aggiungono a quelli tradizionali per questa professione. Innestandosi su un tessuto in radicale cambiamento, la crisi economica globale è intervenuta come un ulteriore fattore potenzialmente destabilizzante, producendo effetti sulle dinamiche del mercato professionale dell’architettura e non solo. Ma una nuova generazione di architetti finalmente sta prendendosi il giusto riconoscimento internazionale con progetti complessi che migliorano l’habitat e disegnano il futuro rispondendo alle esigenze del tessuto sociale. Alison Crawshaw è una di loro: «Credo che la responsabilità dell’architetto oggi sia quella di relazionarsi con la realtà, non basta avere concetti astratti».