Ce n'est qu'un debut, non è che l'inizio. Se questo incipit non brilla per originalità, allo stesso tempo ha però il merito di fotografare quella che è l'attuale situazione del nostro Paese. Dopo mesi di propaganda spicciola, di qualunquismo e demagogia, dopo mesi di rabbia e paragoni (del tutto impropri per la maggior parte), dopo un paio di manifestazioni "rivedibili" (sulle quali meglio stendere un velo), l'Italia ha finalmente scoperto di essere "indignata ed incazzata". E stavolta in piazza non ci sono i soliti attivisti di professione, né qualche fascistello d'assalto né truppe cammellate. Per fortuna.
A rompere il muro dell'indifferenza e del sostanziale immobilismo sono stati ancora una volta gli studenti, giovani e giovanissimi che hanno dato vita ad una protesta determinata e più o meno compatta contro la politica di austerity del Governo Monti e contro alcuni aspetti del progetto di riforma della scuola del ministro Profumo. Cortei e manifestazioni che hanno visto qualche momento di tensione con le forze dell'ordine (quando impareremo che tutto ciò serve solo a distogliere l'attenzione dal cuore della contestazione ed a svilire la portata stessa delle rivendicazioni?), ma che rappresentano un primo segnale, una prima crepa, i primi accenni di una tempesta che rischia di scatenarsi nei mesi a venire. Sia chiaro, non ci interessa prefigurare scenari catastrofici o cavalcare "rivoluzioni estemporanee", né misurarci con l'assurdità dell'indignazione a comando e la sterilità del qualunquismo: però è chiaro che c'è qualcosa che ci sfugge.
Alla politica sfugge che al di là delle oscillazioni dello spread ci sono gli effetti concreti della crisi sulle famiglie italiane. Che oltre le beghe personali dei politici, oltre gli scandali, c'è un senso di rabbia mista a frustrazione tra tantissimi italiani "normali". Che è vana la pretesa di contenere il disagio sociale attraverso provvedimenti – spot e generiche promesse. E ai media, a noi che scriviamo, commentiamo, analizziamo, forse sfugge il disagio profondo, l'enorme conflittualità "interna" della società italiana, in cui sembra finanche prendere piede la logica del "tanto peggio, tanto meglio". Ci sfugge che l'insoddisfazione dei cittadini non è più nemmeno il sogno di un mondo migliore, perché manca la speranza di poter realmente cambiare le cose. Che la sensazione di un "enorme complotto dei poteri forti" non è solo una frase fatta, ma un fattore incidente nella vita concreta più di quanto si possa immaginare perché influenza scelte e giudizi, finanche comportamenti.
E ci sfugge magari che quello che ci aspetta è un bivio cruciale: stare in mezzo ai problemi e alla gente, oppure no. Perché, oltre la propaganda e la strumentalità, oltre la demagogia e il populismo, oltre l'ignoranza e l'approssimazione, oltre i giudizi sommari e lo sterile "combattentismo dei soliti noti", c'è tanta parte del Paese reale che necessita di considerazione, ascolto e dignità. E tra questa gente o ci stiamo oppure no. Il tempo delle mezze misure è finito, sarebbe ora di scegliere: non tanto da che parte stare, ma da quale "idea di Paese" farci guidare.