Adesso verrebbe da chiedersi se davvero qualcuno ne è stato convinto sul serio di là degli ordini arrivati da Roma; perché se qualcuno ha pensato davvero che Denis Verdini (ostentato pubblicamente a Napoli di fianco ad una sorridente Valente) avrebbe portato al PD più voti di quanti ne avrebbe fatto perdere allora il problema si risolve facilmente rimuovendo costui dalla catena di comando mentre invece se la questione Verdini è il sintomo di un'involuzione antropologica del Partito Democratico sempre più galleggiante al centro, beh, allora c'è da ripensare l'intuito politico di chi ha potuto credere che ALA (la formazione politica di Verdini e l'antisavianista D'Anna) abbia un reale consenso al di fuori delle ristrette logiche parlamentari. Allearsi con qualche transfugo in Parlamento è già atto di cui non andare troppo fieri ma illudersi che questo abbia anche dei voti nel Paese normale è un suicidio intellettuale.
Per questo quando Renzi dice che a Napoli "il PD non ha funzionato" arrivando addirittura ad ipotizzare un commissario (a proposito, non ci crederete, ma a Roma si bisbiglia il nome di Ernesto Carbone, quello del "ciaone" agli elettori del referendum sulle trivelle) dimentica di essersi speso su Napoli molto di più che altrove: lo scontro personale con Luigi De Magistris, le visite ravvicinate nel giro di pochi giorni, la "messa all'angolo" di Bassolino senza accettare discussioni sulla regolarità delle primarie e, non ultimo, il disastroso affaire Verdini sono mosse che il premier ha cercato, voluto e ostentato. I "maghi della comunicazione" del PD (tra cui molti napoletani) hanno sparato a palle incatenate contro la minaccia di De Magistris ma non si sono accorti della macchia Verdini e ora si leccano le ferite.
Però nel ragionamento Valente-Pd-Verdini forse vale la pena osservare le reazioni di questi giorni in cui la frase ricorrente sembra essere "non avremmo dovuto esporre la vicinanza con Verdini" piuttosto che interrogarsi sul serio su un'alleanza che appare sempre più incomprensibile (o forse no) per chi ancora crede nella natura del Partito Democratico. E il punto forse sta tutto qua: non è che Matteo Renzi (e il suo PD) ha potuto contare su un elettorato che non avrebbe mai creduto che il premier potesse spingersi così tanto in là nella spericolatezza parlamentare fino a rendere gli ex alleati berlusconiani organici alla nuova maggioranza. "Si è sbagliato a mostrare Verdini?": questa è la domanda sbagliata. Gli appelli di Speranza e Bersani (ma anche di molti attivisti della base) nel dare una spiegazione chiara e netta sul rapporto tra governo e Verdini è rimasta inascoltata, in pubblico Renzi si è limitato a un "si fa quel che si può" a cui non crede nessuno (per di più conoscendo i modi del premier) e in fondo la tappa elettorale di Verdini a Napoli è servita più a ufficializzare senza dover spiegare che alla campagna elettorale della candidata sindaco del PD. "Il problema è solo che non funziona. Se avessero vinto a Cosenza, tipo, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire" scrive sul suo blog Pippo Civati.
Verdini non è un dilettante allo sbaraglio, sa benissimo che un'alleanza sotto traccia limitata al voto parlamentare sarebbe il modo migliore per essere scaricato con facilità alla bisogna e ha ottenuto quella "certificazione" che gli serve per legittimarsi come "ago della bilancia" di governo. ALA, in fondo, non è altro che un gruppo parlamentare forte soltanto del condizionamento presunto che può simulare presso il premier e proprio per questo a Napoli ha già vinto: il capolavoro di Verdini sta tutto qui. Per questo nonostante l'episodio sia stato derubricato a problema minore in realtà è una spada di Damocle: ora di Verdini e soci, il PD, non si libererà molto facilmente. Altro che commissario.