“Sulla composizione dell'esecutivo e del premier sono stati fatti significativi passi in avanti nell'ottica di una costruttiva collaborazione tra le parti con l'obiettivo di definire tutto in tempi brevi per dare presto una risposta e un governo politico al paese”. Il comunicato congiunto dice più di quanto forse gli stessi Matteo Salvini e Luigi Di Maio avrebbero voluto: le trattative per la composizione dell’esecutivo sono a buon punto e anche sul nome da proporre per Palazzo Chigi c’è un’intesa di massima; più complesso arrivare a un compromesso sul contratto di governo e sulla durata dell’esecutivo. Nelle ultime ore era circolata con forza l’ipotesi di una staffetta dei due leader a Palazzo Chigi: opzione scartata, nella convinzione che un avvicendamento di questo tipo potesse dare l’impressione di una alleanza organica e strutturale. Quello che sta per nascere è invece un esecutivo dal mandato mirato e limitato nel tempo.
La poltrona di Palazzo Chigi, per paradossale che possa sembrare, non è il problema più grande. Certo, il valore simbolico e mediatico della scelta potrebbe essere enorme, ma né Salvini né di Maio hanno intenzione di crearsi problemi, favorendo un terzo nome di grande carisma che possa in qualche modo essere d’intralcio quando, non molto tempo, si tornerà alle urne. Per questo motivo sono tanti i dubbi su Giancarlo Giorgetti e Giulia Bongiorno, proposte leghiste, e su Giulia Grillo e Riccardo Fraccaro, nomi timidamente avanzati dai 5 Stelle. La soluzione di compromesso resta quella più percorribile: un nome terzo, non direttamente proveniente dal mondo politico, con un curriculum di rispetto ma senza “eccessive compromissioni” con le passate stagioni della politica. In pole position resterebbe Enrico Giovannini, che ha ricoperto la carica di ministro del Lavoro nel Governo Letta (senza lasciare tracce clamorose, a dir la verità), ma che in passato era animatore di una Commissione “sul livellamento retributivo Italia – Europa”, che aveva rappresentato il primo tentativo (fallito) della politica di autoregolarsi e tagliare sprechi e privilegi. Giovannini è considerato da tempo vicino ai 5 Stelle, così come nome apprezzato è quello di Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review: quest’ultimo avrebbe il vantaggio di essere gradito a Salvini e anche a Berlusconi e Meloni, cosa che non guasterebbe; il problema, in questo caso, sarebbero i dubbi rispetto a flat tax e reddito di cittadinanza. Vagliati anche i nomi di Tronca e Cassese, ma con poca convinzione.
La questione principale riguarda i ruoli di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, chiamati a mettere la faccia su una operazione altrimenti indigeribile anche per elettorati così polarizzati e motivati. La soluzione è semplice: sono già pronte due poltrone da vicepresidente del Consiglio, con deleghe pesantissime. Salvini andrebbe al Viminale, per occuparsi di immigrazione, legittima difesa e sicurezza da ministro dell'Interno. Di Maio alla Farnesina, per accrescere la propria reputazione internazionale, per confermare la presenza dell'Italia nel campo atlantico (e tranquillizzare le cancellerie europee e gli interessi di Washington) e per prendere parte agli appuntamenti della Ue da ministro degli Esteri del "governo del cambiamento". Si tratterà a lungo, invece, sulle altre poltrone, che saranno occupate da figure politiche indicate dalla Lega e dagli uomini e donne che il Movimento aveva già reclutato per la propria squadra di governo. Uno fra Bongiorno e Bonafede dovrebbe andare alla Giustizia, Toninelli alle Riforme e Giorgetti ai Rapporti col Parlamento, Trenta alla Difesa, mentre la Lega otterrebbe Sanità e Trasporti. Si tratta ancora su due ministeri "centrali", ovvero Lavoro ed Economia: l'ipotesi è che Tridico (indicato dai 5 Stelle) possa spuntarla solo se ai leghisti sarà dato via libera per il ministero di via XX settembre. Una partita cruciale, perché ballano reddito di cittadinanza e flat tax, misure su cui sarà difficile trovare una quadra, per non parlare delle risorse…
Il programma del Governo Lega – M5s
Sul contratto di governo, che dovrebbe regolare l'accordo di programma fra Lega e Movimento, invece, ancora non ci siamo. Il problema lo aveva fotografato lo stesso professore Giacinto Della Cananea, presentando il lavoro commissionatogli da Di Maio: “Il punto di fondo è chiaro: le divergenze, che si sono ampiamente manifestate ben prima dell’ultima campagna elettorale, riguardano temi e problemi tra quelli più rilevanti per l’azione dello Stato, all’interno e all’esterno, e sono quindi tali da rendere ardua la formazione di un Governo coeso. Anche quando gli obiettivi sono sostanzialmente condivisi, le divergenze che emergono dai programmi per quanto concerne gli strumenti sono numerose e importanti. Le piattaforme politiche sono irte di differenze e da esse non si può prescindere, non tanto e non solo nell’analisi della situazione esistente, quanto nella valutazione dei margini di azione disponibili per chi si proponga di tentare di elaborare un’agenda di governo per il Paese”.
Per farla breve: ci sono distanze notevoli fra i programmi e, anche quando non ci sono, non si capisce bene come mettere insieme proposte diverse. La soluzione, anche in questo caso, sarà trovata facendo appello alla nobile arte del compromesso, ovvero stilando un contratto di governo che ricalchi la vaghezza delle linee guida proposte da Della Cananea (che vi abbiamo riassunto qui). Un’arte che servirà soprattutto per rispondere alla domanda chiave: “Dover prenderete i soldi?”. Ma non tutto può essere lasciato alla vaga indeterminatezza delle “buone intenzioni”. Ci sono questioni su cui bisogna dire parole chiare per non incappare in rovinose cadute nelle prossime settimane. Bonafede, uscendo da uno degli incontri preparatori, ha parlato di 3 questioni su cui c'è intesa: flat tax, reddito di cittadinanza e immigrazione. Sul resto, difficile sbilanciarsi, però.
Per Paudice, su HuffPost, i 5 Stelle starebbero spingendo per inserire nel contratto una serie di provvedimenti (legge anticorruzione, sul conflitto di interessi, sul 416 ter) “per dimostrare che l'accusa più pesante piombata sul via libera arrivato da Arcore è infondata, il sospetto strisciante […] di aver "ceduto" indirettamente a Silvio Berlusconi per ottenere una "astensione benevola" al nascituro "Governo della non fiducia" di Forza Italia in cambio di alcune garanzie sui dossier più caldi per l'ex Cavaliere”. Complicato, molto, per Salvini, che si troverebbe a pugnalare il suo alleato e a rompere la tregua armata concessagli. Discorso simile su alcune proposte della Lega in campo economico, cancellazione della Fornero e tutela made in Italy, sulle quali ci sarebbe un vago orientamento positivo dei 5 Stelle. I quali, però, non vogliono appesantire troppo il carico di una “manovra”, per conservare margini per il reddito di cittadinanza o comunque per una grande operazione – spot contro la povertà assoluta.