L’elezione dei Presidenti di Camera e Senato è il primo vero banco di prova per i leader politici chiamati a gestire il post 4 marzo. L’assenza di una forza in grado di raggiungere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, infatti, rende inevitabile un compromesso, che, specie nelle intenzioni di Mattarella, dovrebbe portare a una gestione collettiva della fase di transizione. Il modo in cui stanno procedendo le negoziazioni non lascia presagire niente di buono per le prossime settimane, quando si tratterà di mettere mano a una questione enormemente più complicata. Quando cioè i vari leader dovranno trovare scuse più o meno accettabili per non raccogliere il prevedibile invito del Presidente della Repubblica a contribuire alla partenza della legislatura e alla nascita di un governo in grado di mettere in sicurezza i conti del paese (con la legge di stabilità) e di riscrivere la legge elettorale, condizione principale per il ritorno alle urne.
Infatti, quando sembrava tutto fatto, con il proposito di centrodestra e MoVimento 5 Stelle di spartirsi equamente le due cariche parlamentari, il banco è saltato e resta piuttosto complicato capire come evolverà la situazione. L’equilibrio si è rotto sul nome di Paolo Romani, giudicato “invotabile” dai Cinque Stelle a causa della sua carriera politica pregressa e di qualche inciampo giudiziario. I grillini, insomma, non sosterranno l’ex capogruppo forzista a Palazzo Madama e, di conseguenza, non avranno il via libera alla Camera dei deputati, poltrona che sarebbe andata a uno fra Roberto Fico e Riccardo Fraccaro.
La situazione è piuttosto complicata, dunque. Salvini addirittura ha chiesto una mano al Partito Democratico, che finora si è rifiutato finanche di sedersi al tavolo delle trattative. I democratici, in effetti, avrebbero tutto da guadagnare nel restare fuori dalla contesa, anticipando quella che dovrebbe essere la condotta nei giorni successivi, quando si dovrebbero dichiarare indisponibili a sostenere tanto un Governo Salvini quanto un Governo Di Maio. Il condizionale è d'obbligo, perché già si vocifera della possibilità di un accordo fra democratici e centrodestra: in tal caso, Romani andrebbe a Palazzo Chigi, mentre al PD andrebbe la Presidenza della Camera dei deputati. Una scelta opportuna, secondo alcuni pontieri dem, perché aprirebbe una prateria all'ipotesi di un governo del centrodestra sostenuto, direttamente o indirettamente, dal PD. Una trappola mortale, secondo parte dei renziani e della minoranza, perché significherebbe ripercorrere le orme della passata legislatura, peraltro legittimando il M5s come unica opposizione nel Paese e in Parlamento e per giunta col serio rischio di vedere davvero Salvini a Palazzo Chigi.
Anche per questo in casa grillina i sentimenti sono contrastanti: se il mega – inciucio regalerebbe una occasione clamorosa per aumentare i propri consensi, resta il rischio di vedersi scippare di mano non solo la Presidenza della Camera, ma anche le residue chance di ottenere un incarico esplorativo da Mattarella. Il problema è come rompere lo stallo, però. Di Maio vuole riaprire le trattative sui nomi, ma senza Berlusconi. Salvini non può scaricare il Cavaliere senza garanzie di sostegno nella fase successiva. Ci sarà un nuovo incontro dei capigruppo, proposto proprio dai Cinque Stelle. Perché il rischio di andare alla conta in Aula non vuole correrlo nessuno. Tanto più che, in questo caso, il ballottaggio previsto al Senato alla quarta votazione sarebbe l'ultima chiamata per quelli che ancora vogliono bluffare…