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Juan Matías Gil (Msf): “In Tunisia diritti dei migranti non sono garantiti, situazione preoccupante”

“Quello che ci preoccupa di più di questi accordi è che non si parla concretamente di diritti e della protezione delle persone vulnerabili”, dice Juan Matías Gil, capomissione Sar di Medici Senza Frontiere, in un’intervista con Fanpage.it parlando del Memorandum tra Ue e Tunisia. E sui porti di sbarco per la Geo Barents aggiunge: “C’è mancanza di sensibilità verso i sopravvissuti che abbiamo a bordo, è come giocare con la sofferenza delle persone”.
A cura di Annalisa Girardi
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La Tunisia rischia di diventare una nuova Libia. Un nuovo inferno per le persone migranti che, soprattutto dal Sahel, arrivano alle coste mediterranee nel tentativo di salpare verso l'Europa. Sono preoccupazioni che diversi attivisti per i diritti umani e Ong hanno sollevato negli ultimi mesi, mentre arrivavano le testimonianze di quanto stesse accadendo nel Paese, dove i diritti di tanti cittadini provenienti dall'Africa subsahariana vengono violati quotidianamente. Ora, con la firma del Memorandum tra l'Unione europea e la Tunisia, i timori si fanno sempre più concreti.

"Quello che ci preoccupa di più di questi accordi è che non si parla concretamente di diritti e della protezione delle persone vulnerabili. Sappiamo bene quello che accade in Tunisia ai migranti. Abbiamo visto in queste settimane le deportazioni verso l'Algeria e la Libia, abbiamo sentito racconti di persone che sono state incarcerate e soggette a violenze. In Tunisia non sono garantiti i diritti umani dei migranti e nel territorio non ci sono presidi per richiedere la protezione internazionale", ha detto in un'intervista con Fanpage.it Juan Matías Gil, capomissione Sar di Medici Senza Frontiere, che con la nave Geo Barents soccorre i migranti alla deriva nel Mediterraneo.

"Penso che sia legittimo da parte dei diversi Paesi collaborare per aiutare le economie in crisi – ha aggiunto Gil –ma sappiamo bene che questo è un accordo che riguarda il flusso dei migranti dalla Tunisia. Anche se la gestione delle migrazioni è solo l'ultimo punto dell'intesa, come se fosse una questione residuale. Il punto è che concretamente non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo come saranno spesi questi fondi da milioni di euro. Forse per l'attività Sar, ma ancora non si è detto se sarà istituita una zona Sar e se dopo i soccorsi fatte in acque internazionali sia legittimo riportare le persone in Tunisia".

A pagare le conseguenze, se non ci sarà uno stretto controllo sulla tutela dei diritti umani, saranno sempre le persone più vulnerabili: "Le persone più colpite da questi accordi sono le persone provenienti da altri Paesi che si trovano in Tunisia, in gran parte vengono dalla Libia, dove la situazione è già delicata. In Tunisia diventerà una sfida ancora più grande e la protezione di queste persone non sarà garantita".

Ad ogni modo, le navi umanitarie continueranno a fare il loro lavoro, soccorrendo le persone che attraversano il Mediterraneo. Un lavoro che però è reso spesso complesso da alcune pratiche della autorità, come quella di assegnare porti di sbarco lontanissimi dal Mediterraneo centrale, dove vengono effettuati i salvataggi. Questa volta alla Geo Barents ne sono stati assegnati addirittura tre: dopo aver permesso lo sbarco di alcune persone a Lampedusa, la nave di Medici Senza Frontiere è stata mandata prima a Marina di Carrara e poi a Livorno.

"Penso che sia una totale mancanza di sensibilità verso i sopravvissuti che abbiamo a bordo, è come giocare con la sofferenza delle persone senza considerare il loro benessere. È un dispetto. Ovviamente ci sono questioni organizzative, ma quando si tratta di esseri umani dovrebbero essere loro al centro di ogni considerazione, prima di ogni questione logistica", ha commentato Gil.

Per poi raccontare: "Prima abbiamo sbarcato 116 persone a Lampedusa, altre 346 sono rimaste a bordo. Spiegare alle persone perché alcune sbarcano e altre no è complicato. In più dobbiamo andare verso un porto che sta a due o tre giorni di distanza dal primo sbarco e dobbiamo di nuovo spiegare ai naufraghi perché sono divisi in due gruppi e scendono in porti a distanza di 70 chilometri l'uno dall'altro. Chiaramente sarebbe meglio sbarcare subito tutti e dopo, quando le persone sono in salvo, distribuirle sul territorio". Infine, il capomissione della Geo Barents ha concluso: "Noi capiamo che ci sia la necessità di organizzare gli sbarchi, ma le autorità devono capire che non si può giocare sulla pelle delle persone".

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