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Jobs Act, resa dei conti nel Pd: passa il ddl ma sono solo 316 i sì

Passa anche alla Camera il Jobs Act. La minoranza del Partito Democratico abbandona l’Aula ed esce allo scoperto: “Non lo votiamo, il problema è come assumere non come licenziare”.
A cura di Redazione
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Ore 18:00 – I no all’interno del Pd sono 29, come testimonia il documento diffuso in queste ore in cui si legge: “Alla fine di una discussione seria non possiamo votare contro i diritti di chi lavora e di chi un lavoro lo cerca”. Il documento è firmato da Roberta Agostini, Tea Albini, Ileana Argentin, Rosy Bindi, Massimo Bray, Francesco Boccia, Marco Carra, Angelo Capodicasa, Susanna Cenni, Eleonora Cimbro, Gianni Cuperlo, Alfredo D'Attorre, Gianni Farina, Stefano Fassina, Paolo Fontanelli, Filippo Fossati, Carlo Galli, Monica Gregori, Maria Iacono, Francesco Laforgia, Gianna Malisani, Margherita Miotto, Michela Marzano, Michele Mognato, Barbara Pollastrini, Maria Grazia Rocchi, Alessandra Terrosi, Giuseppe Zappulla, Davide Zoggia.

Ore 17:45 – Terminate le dichiarazioni di voto alla Camera dei deputati sul Jobs Act (vale la pena di evidenziare i due interventi a titolo personale di Pippo Civati e Stefano Fassina, che hanno confermato il loro no al disegno di legge), la votazione finale ha visto prevalere i sì: 316 contro solo 6 voti contrari. L'opposizione, con la minoranza del Partito Democratico ha abbandonato l'Aula. Ora il testo tornerà al Senato, per la definitiva approvazione.

Arriverà con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia prevista il via libera della Camera dei deputati alla seconda gamba del Jobs Act, ovvero il disegno di legge “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”. Il voto finale sul provvedimento è infatti previsto per la tarda serata di oggi, con il completamento delle votazioni sui singoli emendamenti (mentre successivamente saranno votati i 109 ordini del giorno presentati).

Il testo, che recepisce il lavoro fatto dalla Commissione Lavoro, prevede una serie di modifiche sostanziali rispetto all’impianto approvato dal Senato ed in particolare:

  • integrazioni salariali recluse solo nel caso in cui la cessazione dell’attività aziendale (o di un ramo di essa) sia definitiva
  • definizione a livello nazionale dei meccanismi per la concessione degli ammortizzatori sociali
  • modifiche all’Agenzia Nazionale per l’occupazione
  • cambia la disciplina dei licenziamenti illegittimi nell’ambito del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio: la possibilità di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (ferma restando la disciplina vigente per i licenziamenti nulli e discriminatori, a fronte dei quali la reintegra è sempre ammessa) è stata esclusa per i licenziamenti economici, mentre per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari ingiustificati è stata limitata a “specifiche fattispecie
  • previsto  il superamento delle collaborazioni coordinate e continuative
  • controlli a distanza unicamente impianti e sugli strumenti di lavoro
  • introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere

È però fallito definitivamente il tentativo di mediazione interno al Partito Democratico, con la minoranza che ha annunciato il voto contrario sul provvedimento fortemente voluto dal Presidente del Consiglio e dal ministro del Lavoro. Sarebbero circa una trentina i dissidenti, con in prima fila i due avversari di Matteo Renzi alle primarie del Partito Democratico. Pippo Civati ha infatti confermato il suo no al provvedimento, spiegando anche sul suo blog i suoi voti in sede di discussione: “Ho votato a favore del mantenimento dell’articolo 18 e per introdurne le tutele nel contratto a tutele crescenti, per il superamento del decreto Poletti e per contrastare il demansionamento, mentre mi sono astenuto sugli ammortizzatori sociali”.

Gianni Cuperlo ha invece dichiarato di non rilevare le “condizioni per il sì”, sostanzialmente perché “il problema non è come licenziare, ma come assumere”. Sulla stessa linea Fassina: “Da una parte si toglie, dall’altra restano solo promesse, questa legge delega non migliora le condizioni dei lavoratori. Certo, per noi è uno strappo rilevante perché siamo parte della maggioranza ed il nostro partito esprime il Presidente del Consiglio, ma questa legge delega non possiamo votarla, perché questa ricetta non funziona e rende più deboli i lavoratori”.

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