Jobs act, Orlando a Fanpage.it: “È il momento di superarlo, chi nel Pd non è d’accordo lo dica”
La manovra del governo Meloni è "discriminatoria" da molti punti di vista, e il problema della mancanza di fondi si sarebbe potuta parzialmente risolvere aumentando la tassa sugli extra-profitti e non riducendola. Il deputato del Pd ed ex ministro del Lavoro del governo Draghi, Andrea Orlando, spiega – in un'ampia intervista a Fanpage.it – il suo punto di vista sulla legge di Bilancio e non solo. Con un emendamento Orlando rilancia il superamento del Jobs act, mentre sulla fase costituente del Partito Democratico si dice deluso. I dem, in effetti, sono praticamente già in pieno Congresso.
Onorevole Orlando, avete criticato duramente la prima manovra Meloni, perché? Cosa si poteva fare di diverso a parità di fondi?
Questa è una manovra particolarmente ingiusta perché discrimina. Discrimina i lavoratori dipendenti dai lavoratori autonomi con una tassazione diversa sullo stesso tipo di reddito. Discrimina le donne, perché con Opzione donna – legata al numero dei figli e non semplicemente alla condizione lavorativa – si crea una sperequazione. Discrimina perché crea le condizioni di una crescita della povertà con l'aggressione al reddito di cittadinanza. Discrimina perché, sostanzialmente, non aggiornando la spesa all'andamento dell'inflazione finisce per ridurla su interventi e settori fondamentali. Questo vale per la sanità, per gli enti locali e per tutti i servizi che erogano. Oggettivamente lascia più indietro le persone con maggior difficoltà. E questo per ciò che riguarda le cose che ci sono.
E quali sono le cose che non ci sono?
Questa manovra non interviene minimamente sul tema dei salari. Le misure previste sono inferiori a quelle del governo Draghi, che dovevano avere un carattere eccezionale. Parliamo di bonus, non c'è nessun intervento sul fronte strutturale, sul cuneo fiscale nulla di significativo. E poi non c'è niente sul lavoro povero che oggi, con questa inflazione, è diventato una vera e propria emergenza nazionale.
Le risorse, però, sono limitate. La linea di Meloni è: abbiamo fatto il possibile con i fondi a disposizione. È una lettura errata?
In parte è comprensibile la preoccupazione del governo. Deve salvaguardare il Paese dalla speculazione finanziaria e quindi non fare scostamenti non autorizzati. Anche se forse all'Europa si poteva strappare qualcosa in più sul fronte della flessibilità. Però il punto fondamentale è che l'intervento sugli extra-profitti riduce drasticamente quella era una potente leva per consentire una manovra più ambiziosa. Nel corso di questi anni ci sono imprese che hanno realizzato utili che non hanno precedenti nel corso della loro storia finanziaria. E questo non vale soltanto per l'energia, ma anche per la farmaceutica, per il digitale, per la logistica. Vale per tutta un'altra serie di settori che, senza alcun merito specifico per le condizioni determinate prima dal Covid e poi dalla guerra, hanno avuto una serie di ricadute straordinarie a scapito del resto dell'economia.
Ora si apre la fase emendativa della manovra economica, lei propone di superare il Jobs act. È una misura, però, ideata, approvata e rivendicata dal Pd. È un fallimento?
Si sperava che con il Jobs act una quota sempre più significativa di persone passasse dal contratto a tempo determinato a un contratto stabile a tempo indeterminato. Purtroppo questo non è avvenuto. Siamo di fronte al record storico di contratti a tempo determinato. E poi ci sono le sentenze della Corte Costituzionale, che hanno indicato come siano rimaste delle contraddizioni che devono essere superate e che tra l'altro erano già presenti al momento in cui si è votato il Jobs act. Si sapeva che alcune sperequazioni si sarebbero dovute sanare. Peraltro il mio partito ha sostenuto il superamento del Jobs act nella campagna elettorale, quindi è anche un modo di dare seguito a degli impegni assunti di fronte agli italiani.
C'è chi sta leggendo questo passaggio come una conta interna, perché c'è chi quella misura ancora la rivendica nel Pd…
Se c'è qualcuno che ritiene che ciò che abbiamo detto in campagna elettorale fosse uno scherzo, allora lo dica. Io penso che il segretario l'abbia detto sul serio. E prendendolo sul serio mi sono mosso di conseguenza. Nel governo Draghi avevamo spinto, e lo avevo fatto personalmente, per portare all'attenzione il tema della precarietà del lavoro. Ora che non siamo più al governo credo che quella istanza vada ripresa e portata avanti nelle condizioni in cui lo può fare una forza di opposizione.
Su questi temi ci può essere convergenza con l'altra principale forza di opposizione: il Movimento 5 Stelle. Può essere, ad esempio, il salario minimo il punto da cui ripartire per riavvicinarsi con degli ex alleati?
Per quanto riguarda il Partito Democratico sicuramente sì. Abbiamo votato la mozione del Movimento 5 Stelle sul salario minimo, anche se ritenevamo che ci fossero alcune cose da perfezionare. Loro non hanno votato la nostra. Ma l'obiettivo è più importante dei distinguo. Noi siamo disponibili a sostenere qualunque proposta faccia un passo in quella direzione. Non siamo qui a rivendicare il copyright. Naturalmente sarà molto importante anche la mobilitazione che si può realizzare nella società, perché l'opposizione non si fa soltanto in Parlamento e le battaglie possono essere vinte soltanto se si saldano a un movimento di carattere sociale nel Paese.
Sul Congresso del Pd due domande: questa fase costituente come sta andando, se esiste davvero, e poi Schlein è la persona giusta per guidare il partito?
Alla prima le rispondo che purtroppo le cose non stanno andando nella direzione che auspicavamo. Sommare la competizione tra candidati e una discussione sui valori fondamentali di un partito è un modo di fare impazzire la maionese. E mi pare che la maionese sia già largamente impazzita. La fase costituente è stata già assorbita dalla fase congressuale e non il contrario. Non credo sia un bene, perché questo partito avrebbe avuto bisogno di dividersi, anche profondamente. Sui temi però, non sulle persone. La cosa diventa più complicata perché i nomi implicano una scelta.
E veniamo alla seconda domanda: cosa pensa di Elly Schlein?
Continuo a pensare che si tratti di scegliere cercando di capire fino in fondo quali sono le piattaforme che verranno messe in campo. Certo naturalmente legandole al profilo, alla credibilità dei candidati. Per questo attendo ancora degli elementi e delle indicazioni. Non mi piace l'idea di fare una corsa per posizionarmi sulla base di una simpatia personale o di un'efficacia mediatica dei candidati. Credo che questa volta sia davvero molto importante capire esattamente che cosa implica ciascuna candidatura e quali sono i contenuti. E fino ad oggi, diciamolo con franchezza, questo elemento non è praticamente emerso.
Nel frattempo al Parlamento europeo c'è un terremoto senza precedenti con lo scandalo corruzione che riguarda anche volti noti dei Socialisti e Democratici. Cosa ne pensa?
È una vicenda ripugnante. Certo lasciando sempre un beneficio del dubbio, perché magari non tutte le persone chiamate in causa lo saranno effettivamente. Ma se girano dei sacchi di soldi negli uffici dei parlamentari non credo si tratti di una congiura. Una condanna ferma, però, non è sufficiente. Bisogna capire quali sono le responsabilità politiche, oltre a quelle penali, e poi interrogarsi su quali sono i meccanismi che favoriscono un'opacità nel funzionamento delle istituzioni. Che cos'è che non funziona nel rapporto tra rappresentanza istituzionale e interessi particolari di Paesi stranieri? Questo è un tema che va affrontato anche a prescindere dalla vicenda corruttiva.
Nel Lazio e in Lombardia si va al voto tra pochissimo, con una direzione del Pd che ha preso delle decisioni in una fase di profondo rinnovamento, almeno sulla carta. Le candidature sono adatte alla sfida
Saranno passaggi delicati, complessi. Ma saranno anche gestiti con due candidature di assoluto livello, che possono avere una alta capacità competitiva sia nel Lazio che in Lombardia. Adesso è il momento di impegnarsi perché entrambe possano avere successo.