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Jobs Act

Jobs Act, ma tutto questo Marta non lo sa

Ho incontrato la ragazza di cui parlava Renzi, quando, con un video, garantiva alla Cgil di non ispirarsi a Margaret Thatcher per la riforma del lavoro…
A cura di Roberta Covelli
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L'altro giorno ho incontrato Marta, ventott'anni, che non ha la possibilità di avere il diritto alla maternità. Sì, proprio la ragazza di cui parlava Renzi, quando, con un video, garantiva alla Cgil di non ispirarsi a Margaret Thatcher per la riforma del lavoro, ma, appunto, a Marta.

E io l'ho incontrata in treno, Marta, mentre parlava con un'amica del suo nuovo impiego, un contratto a termine. Dopo anni da co.co.pro., certo non si lamentava. “E quando ti scadrà?” “Vedremo: forse lo rinnovano. Per ora, meglio di niente”.

Funziona così: l'ignoto come orizzonte, la speranza come sale di vita, la disillusione come metro per le aspettative.
Ma io me la sono immaginata, Marta, felice per il Jobs act. È vero, i dati Istat sono tutt'altro che incoraggianti, ma, pensa lei, la statistica non calcola il merito, l'impegno. E allora ho fantasticato del suo viso raggiante quando il suo datore di lavoro le offrirà finalmente un contratto a tempo indeterminato. Magari con il suo compagno progetterà di acquistare una casa, anche se la politica delle banche nel concedere mutui non sembra agevolare così tanto i suoi disegni. Pensa forse di costruirsi una famiglia, Marta, che godrà finalmente delle tutele che merita, soprattutto della maternità: garantita a tutte, prometteva il Governo (il Parlamento annuiva in silenzio).

Poi, però, potrebbe succedere: gli impegni, le scadenze, qualche rimprovero di troppo e Marta che reagisce. Risponde male o, anche, semplicemente, non sorride come vorrebbe il capo. E viene licenziata: un licenziamento eccessivo e ingiustificato, ma comunque valido, con effetti reali, perché “resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”, specifica il Governo, e, dunque, a Marta spetterebbe solo un'indennità (senza versamenti contributivi né previdenziali) da quattro a ventiquattro mensilità.

Oppure gli incentivi fiscali non basteranno a convincere l'imprenditore di turno e lei sarà assunta con l'ennesimo contratto a termine: d'altronde, con la liberalizzazione operata dal decreto Poletti, il requisito della causalità è stato eliminato e quindi non servono più esigenze tecnico-produttive per stipulare contratti simili. Marta potrà essere assunta dallo stesso datore di lavoro per tre anni, anche con contratti brevi, in sequenza, rinnovati fino a cinque volte. E lei, che ha ventott'anni, che magari vorrebbe dei figli, resta incinta: è vero, il diritto alla maternità le è garantito dal suo contratto a tempo determinato, che però il datore di lavoro decide di non prorogare. Nessuna spiegazione dovuta, nessuna sanzione, nessun diritto.

Ma Marta tutto questo non lo sa: è concentrata sul lavoro, attenta a non fare errori, se serve nascondendo in tasca la dignità, in attesa di tempi migliori. Le resta solo la speranza, che sembra sempre più sfumare in illusione, che le promesse abbiano almeno un fondo di verità.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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