Ius soli, Palazzotto a Fanpage: “Va esteso a tutti, Parlamento è dalla parte sbagliata della storia”
La legge sulla cittadinanza italiana, la 91 del 5 febbraio del 1992, ha compiuto 30 anni. È una legge vecchia, che non tiene conto dei profondi cambiamenti nella società, soprattutto nella composizione demografica. Come mostrano i dati diffusi dal Centro studi e ricerche Idos, il numero dei cittadini italiani naturalizzati che vivono nel nostro Paese è in continua crescita: erano 286mila nel Censimento del 2001, oltre il doppio, 671mila nel 2011, e poi in quello nel 2020 se ne sono registrati oltre 1 milione e mezzo. La normativa attuale penalizza circa un milione e mezzo di potenziali italiani. Sono 860mila gli stranieri residenti che avrebbero accesso alla cittadinanza italiana se questa fosse estesa a tutti i nati sul territorio nazionale: nel 95% dei casi bambini e ragazzi con meno di 18 anni.
In questo momento sono tre i testi di legge depositati per una riforma della cittadinanza, a firma di Boldrini, Orfini e Polverini. Il deputato Erasmo Palazzotto (Leu) rilancia l'appello della campagna ‘Dalla parte giusta della storia' – che chiede che la cittadinanza diventi un diritto garantito e che venga assicurata a chi nasce in Italia, senza aspettare i 18 anni – e invita il Parlamento a mettersi al lavoro, per chiudere questa legislatura con una legge che possa finalmente mettere al riparo da discriminazioni cittadini che sono italiani a tutti gli effetti, ma non per lo Stato.
A che punto è la riforma della legge sulla cittadinanza?
Si attende da parte del presidente della commissione Affari Costituzionali Brescia una proposta di testo unificato, una sintesi dei tre depositati da Boldrini, Orfini e Polverini. La mia sensazione è che in questo momento la legge è impantanata, un po' per l'agenda politica, un po' perché il tema dei diritti finisce sempre in fondo alla lista delle priorità.
Cosa deve contenere una buona legge sulla cittadinanza?
Per quanto mi riguarda io sono per riconoscere uno ius soli pieno, come è in altri Paesi, come gli Stati Uniti: la condizione di nascita nel nostro Paese deve dare diritto alla piena cittadinanza. Le proposte di legge presentate prevedono varie forme di accesso più semplificate per chi è nato in questo Paese o vi risiede da un determinato periodo di tempo. Auspico che si riesca a estendere il più possibile il diritto di cittadinanza, per tutti coloro che hanno deciso di fare dell'Italia il luogo in cui vivere e far crescere i propri figli, ed è per questo che sostengo la campagna ‘Dalla parte giusta della storia'. Anche perché ho proprio la sensazione che in questo momento ad essere dalla parte sbagliata della storia siano il Parlamento e il sistema politico italiano, che ancora una volta non è in grado di decidere, rinvia la discussione su questo tema, e non la considera urgente. Ora c'è il caro bollette, la pandemia, la crisi economica, c'è sempre qualcosa di più importante di cui discutere. Dovremmo avere il coraggio di discuterne allo stesso modo, senza alcuna gerarchia di priorità. Nessuno dice che per parlare di cittadinanza non dobbiamo parlare dell'aumento del costo dell'energia: affrontiamo il problema del costo delle bollette e il giorno dopo avviamo la discussione sullo ius soli, magari pure lavorando il sabato e la domenica.
Che possibilità ci sono che la discussione inizi nei prossimi mesi?
C'è la necessità di farlo e mi auguro davvero che ci sia un avanzamento. Ma c'è il rischio concreto che si arrivi a un certo punto a dire che non c'è più tempo perché la legislatura è finita. Ma la questione è urgente e non possiamo più rimandarla, perché stiamo parlando di migliaia di ragazzi italiani discriminati solo per il Paese di origine dei loro genitori. Quasi un milione di ragazzi che frequentano la scuola, giocano ed escono con i nostri figli, sono fidanzati con i nostri figli, si trovano senza un passaporto perché non sono considerati italiani.
Non si rischia il naufragio in Aula, come è accaduto con il ddl Zan? Per la legge contro l'omofobia i numeri sono mancati.
Il ddl Zan è finito al centro di una partita politica che niente aveva a che fare con il merito di quello di cui si stava discutendo. Era uno scontro politico e sulla pelle delle persone si è giocata una partita che riguardava i rapporti di forza tra partiti all'interno dell'ex coalizione di centrosinistra, tra Italia viva di Renzi e il Pd di Letta. Però oggettivamente in questo Parlamento i numeri ci sono. Bisogna avere la capacità di dire che su temi di questa rilevanza non bisogna ragionare in termini di maggioranza, ogni parlamentare deve votare secondo coscienza. Anche perché sono temi su cui il Paese è molto più avanti delle forze politiche. Se noi celebrassimo un referendum su temi di questa natura, come il ddl Zan o il riconoscimento della cittadinanza a ragazzi che sono nati e cresciuti qui, o sui temi che sono stati bocciati dalla Consulta, ci accorgeremmo che il popolo italiano è molto più avanti, semplicemente perché queste cose sono entrate a far parte della vita delle persone. Oggi c'è una realtà fattuale a cui non corrisponde una realtà formale e sostanziale della legge, è il sistema normativo che è indietro rispetto alla realtà dei fatti. E quando si crea questo cortocircuito c'è sempre la possibilità che si creino dei mostri, come nel caso dell'omofobia, delle discriminazioni di genere, dei fenomeni di razzismo. Perché è il sistema istituzionale che discrimina a sua volta.
Il problema è forse che la cittadinanza italiana continua a essere ritenuta una concessione o un privilegio.
Sì, si continua a parlare della cittadinanza come qualcosa che regaliamo a qualcun altro. Ma il tema è che noi siamo concedendo qualcosa a noi stessi, è il livello di civiltà della nostra società. Se abbiamo tanti ragazzi che hanno meno diritti degli altri siamo una società che viaggia verso il baratro. È nell'interesse generale che si costruisce la sicurezza e la coesione sociale. Quando si emarginano le persone si possono creare fenomeni complessi da gestire, come dimostra il fallimento dei modelli di integrazione di società multiculturali europee, basta guardare a quello che è successo in Francia e in Belgio. Servono politiche che sappiano costruire una cointegrazione, un'abitudine alle differenze, che si ottiene rompendo gli steccati e le barriere identitarie.
La legge 91 del 1992 ha compiuto da poco trent'anni. Perché una legge anacronistica?
È un ciclo storico compiuto. Quest'anno ricorre il trentennale di Mani Pulite, del crollo della Prima Repubblica, nel frattempo siamo entrati nella Terza. Trent'anni fa Cosa Nostra sventrava un'autostrada e un pezzo di città per far saltare in aria i magistrati che combattevano contro le mafie, un complicato intreccio di potere tra organizzazioni criminali, servizi segreti deviati, e pezzi di Stato. Eravamo in una situazione completamente diversa. Nel frattempo è cambiato il mondo, si sono adeguate le leggi elettorali, le leggi di bilancio, i trattati europei. Le uniche cose che non si sono adeguate sono le norme che garantiscono i diritti e nel caso della cittadinanza servono a regolare la composizione demografica di una società, che in questi anni è anche invecchiata, e che quindi avrebbe anche bisogno di riconoscere una nuova generazione di cittadini che è già al suo interno.
Quando si parla di ius soli per meriti sportivi, come la vicenda del calciatore Luis Suarez, non si parla abbastanza del fatto che in certi casi le pratiche sono molto celeri, ma la maggior parte dei ragazzi deve attendere anche cinque o sei anni.
Quando abbiamo affrontato la riforma dei decreti immigrazione, ci siamo soffermati sui tempi per la concessione della cittadinanza. Il governo sosteneva che con le risorse a disposizione non fosse possibile evadere tutta la pratica della cittadinanza in tempi inferiori a quelli attualmente previsti. Io presentai un emendamento, che chiamai proprio emendamento Suarez, per segnalare questa discriminazione. Non è credibile che quando si tratta di casi rilevanti, e di interessi economici, si riescono a snellire i tempi della burocrazia, e si riescono a superare tutti gli ostacoli che invece vengono posti alle famiglie. La ritengo un'ingiustizia e un elemento di disuguaglianza sostanziale che non è sostenibile. Abbiamo bisogno di riconoscere pari diritti per tutti, dalla star del calcio italiano all'ultimo ragazzino di questo Paese, che non ha né risorse economiche né talenti riconosciuti.
Due studenti stranieri su tre sono nati in Italia. E dopo due anni di pandemia e di didattica a distanza queste differenze sono aggravate dai disturbi psicologici che stanno emergendo tra gli adolescenti. Il governo è in ritardo, nell'affrontare questo problema?
Da decisore politico mi sono sempre chiesto in questi anni quanto la pandemia stesse rubando alle nuove generazioni, cosa avrebbe significato per me, da studente, perdere due anni di vita, vedermi limitata la socialità, le esperienze più importanti. Ovviamente se a questa condizione già di per sé drammatica e complessa da gestire per un adolescente ci aggiungiamo un ulteriore elemento di difficoltà nell'inclusione, nella relazione con gli altri, è chiaro che stiamo dando un carico in più. Il peso del disagio che i ragazzi hanno affrontato con il Covid si è scaricato sulle famiglie, e lo stesso avviene per la situazione di difficoltà dei ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia, ma non sono riconosciuti come cittadini. E non sempre le famiglie sono in grado di aiutarli. Anche per questo abbiamo istituito il bonus psicologico, che per fortuna vale per tutti. Forse questa volta il governo risulta quasi in anticipo, se consideriamo il ritardo nel discutere la legge sulla cittadinanza.
Dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale dei referendum su cannabis e su eutanasia il Pd e il M5s hanno sollecitato il Parlamento, affinché acceleri sul fine vita, con la legge sul suicidio assistito che è in Aula. Perché non si sono fatti sentire prima, prendendo magari posizione a favore della campagna referendaria promossa dall'Associazione Coscioni?
Il fatto che ieri si sia votato nell'Aula di Montecitorio il primo emendamento soppressivo, che avrebbe affossato la legge, e che a larga maggioranza sia stato respinto, è un segnale politico importante. Se è stato votato ieri è perché era calendarizzato da molto tempo, e si era già concluso l'iter in commissione. Da una parte quindi c'è un Parlamento che sta lavorando, e Pd e M5s sono stati tra quelli che hanno più spinto in questa direzione. Dall'altra parte sì, su eutanasia e cannabis c'è stata a mio avviso troppa prudenza nell'esporsi a favore dei referendum, che però non ci saranno. Le sentenze di rispettano, anche se non piacciono o non si condividono. Bisogna prendere atto del reale problema politico, che non è rappresentato dalla Corte Costituzionale, che pone questioni di natura puramente formale, rinviando ancora una volta la responsabilità al legislatore. C'è però anche un punto di razionalità in questo: io ho firmato il referendum sull'eutanasia, ma è già una sconfitta della politica dover regolare con un referendum abrogativo una materia di questa rilevanza. La raccolta firme per i referendum serviva ed è servita per sbloccare la vicenda parlamentare. Spero ora si possa iniziare a lavorare seriamente su una legge sul fine vita, per tutelare la dignità e la libertà delle persone.
Però l'eutanasia non c'è nel testo che si sta discutendo in Aula.
Non è inclusa ma credo che il fatto che si stia regolando questa materia è già tanto. Il testo è appena arrivato in Aula, in prima lettura, spero si possa migliorare, e che si possa ottenere il massimo. È evidente però che un tema così delicato da un punto di vista etico, che vede anche all'interno degli stessi partiti posizioni diverse, andrà regolato dentro un quadro di mediazione, ma sicuramente l'uscita da questo percorso sarà un ulteriore passo in avanti, così come è stato con l'approvazione del Testamento biologico. La civiltà e il progresso si conquistano passo dopo passo. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno: il fatto che si sia partiti con questa discussione sul fine vita il giorno dopo della bocciatura del referendum è già un segnale positivo.