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Italia-Libia, perché il rinnovo del memorandum d’intesa sui migranti è illegale e criminale

Il Tavolo Asilo Nazionale, composto da 26 organizzazioni che si occupano dei diritti dei migranti, ha scritto una lettera aperta al Governo e al Parlamento chiedendo l’annullamento del Memorandum Italia-Libia del 2017 per la gestione dei flussi in arrivo via mare. La denuncia di Asgi: “Serve a lasciare che la Guardia costiera libica faccia il lavoro sporco per noi”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il Tavolo Asilo Nazionale, un collettivo composto dalle maggiori organizzazioni che si occupano dei diritti dei migranti (tra le quali Arci, Amnesty, Intersos, Oxfam), ha chiesto con una lettera aperta che il governo e il Parlamento "annullino immediatamente il memorandum del 2017 e i precedenti accordi con il governo libico e che, fatti salvi gli interventi di natura umanitaria, non vengano rifinanziati quelli di supporto alle autorità libiche nella gestione e controllo di flussi migratori".

Le associazioni chiedono inoltre "l'immediata evacuazione dei centri di detenzione per i migranti, garantendo loro la necessaria assistenza e protezione, sotto l'egida della comunità internazionale". Sono alcuni dei passaggi della lettera che è stata presentata questa mattina a Roma, a un incontro in cui erano presenti anche i giornalisti Francesca Mannocchi e Nello Scavo, che ha da poco firmato un'inchiesta con la quale ha dimostrato la presenza del boss libico Bija in Italia, durante una visita organizzata dall'Oim.

L'intesa, così per come è adesso, prevede che l'Italia continui a finanziare la Guarda Costiera libica e i centri di detenzione in Libia, rendendosi di fatto complice degli orrori perpetuati sulla pelle dei migranti. Come hanno sottolineato le associazioni questa mattina, non è possibile tra l'altro controllare come la Libia impieghi realmente le risorse economiche che arrivano dall'Italia, che di fatto finiscono a sostenere un governo ostaggio delle milizie, dei trafficanti di esseri umani, e delle mafie locali.

Le associazioni hanno chiesto anche che venga creata una commissione d'inchiesta che vigili su quanto sta accadendo in Libia; che si apra una discussione nel Parlamento italiano, oltre a predisporre un programma di ricerca e salvataggio in mare a livello italiano ed europeo; canali di ingresso regolari per i migranti; che si ponga fine agli interventi per ostacolare i salvataggi delle Ong, l'ultimo dei quali risale allo scorso 15 ottobre, quando con un decreto il Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico si è dotato di una sorta di ‘Codice Minniti libico', come vi abbiamo raccontato qui.

Se è vero che le politiche che riguardano i salvataggi in mare non sono state segnate da quella discontinuità che il governo giallo-rosso aveva promesso – basti pensare alla nave Ocean Viking, che ha attraccato questa mattina a Pozzallo con 104 persone dopo ben 12 giorni in mare – le organizzazioni chiedono un'inversione di rotta almeno nei negoziati con la Libia. Una trattativa con Tripoli è necessaria, ma non per attuare meccanismi di "esternalizzazione delle frontiere".

"Nel 2017, quando l'Italia ha siglato in memorandum, la situazione nei centri di detenzione era già nota, io stessa ne ho scritto dal 2013 – ha raccontato Francesca Mannocchi – ma oggi ancora di più sappiamo con certezza che quel modello ha fallito, e quindi rinnovarlo è incosciente". Per questo l'Italia non può permettere che il prossimo 2 novembre, che, ironia della sorte, è anche il giorno dei morti, vengano rinnovati per altri anni questi accordi. Se il governo non interverrà il memorandum firmato il 2 febbraio del 2017 dal governo Gentiloni con il capo del governo di Tripoli Al Sarraj, con lo scopo di contenere le partenze dal Paese nordafricano, sarà prolungato automaticamente. Ma rinnovare questi accordi è illegale, e visto che c'è un fascicolo pendente alla Corte penale internazionale, rischia di essere anche criminale. Anche perché in questi due anni molto è cambiato: nel frattempo è scoppiata la guerra in Libia, dal 4 aprile scorso: in un Paese di 5 milioni di persone ha provocato 120mila sfollati, 5800 feriti, 1000 morti di cui 100 civili, e 53 morti in un centro di detenzione nel luglio scorso, a Tajoura. E questo naturalmente dimostra che i migranti catturati e riportati indietro sono esposti ai bombardamenti.

Secondo dati aggiornati al 30 settembre 2019, il 58% delle persone che erano scappate dalla Libia sono state riportate indietro. Attualmente sarebbero 5mila le persone presenti nelle prigioni libiche. Come molti articoli giornalistici hanno dimostrato, i libici intercettano i migranti in mare per poterli poi rinchiudere in centri in cui le persone sono torturate e stuprate, e vengono sequestrate a scopo di estorsione. Alcuni migranti dopo gli sbarchi sono venduti a trafficanti di esseri umani. Questo quadro, dopo lo scoppio della guerra, si è aggravato.

Ma c'è di più. L'accordo, come ha sottolineato anche Asgi durante la conferenza stampa, è stato stipulato in violazione dell'articolo 80 della Costituzione, perché non è stato votato dal Parlamento, che in teoria è chiamato ad autorizzare la ratifica dei trattati internazionali che hanno natura politica e che determinano degli oneri finanziari sul bilancio dello Stato. E il memorandum è sicuramente di natura politica, anche perché la Libia è un partner strategico nel Mediterraneo in materia di immigrazione. Inoltre sono stati utilizzati i soldi dei contribuenti, contenuti nel Fondo Africa che doveva servire a finanziare politiche di sviluppo per il Continente: una parte di quel Fondo è finito nelle mani della Guardia costiera libica.

Asgi ha impugnato gli atti di sviamento di queste risorse pubbliche: si attende infatti l'udienza davanti al Consiglio di Stato per stabilire se il governo italiano si è servito correttamente di questi soldi pubblici, che nei fatti sono stati impiegati per dare navi alle milizie, "per creare una Guardia costiera libica in laboratorio, che faccia quello che noi non possiamo fare perché siamo un Paese democratico ed europeo, e cioè violazioni sistematiche dei diritti delle persone migranti presenti in Libia".

Una Guardia costiera che si è rivelata in diversi casi del tutto incapace a gestire le operazioni in mare: "Va evidenziato come in numerosi e documentati casi la Guardia costiera libica non abbia risposto alle richieste di soccorso, abbia abbandonato in mare persone ancora in vita o sia intervenuta esercitando violenze sui naufraghi o addirittura causando incidenti mortali – recita un altro passaggio della lettera – nel caso più drammatico, verificatosi il 6 novembre 2017, si stima che più di 50 persone siano annegate in quella che avrebbe dovuto essere un'operazione di soccorso, mentre il 20 settembre di quest'anno un ufficiale della Guardia costiera libica ha sparato e ucciso un cittadino sudanese che si opponeva al rientro in Libia".

Delegare ai libici i salvataggi del resto significa anche effettuare respingimenti collettivi, in violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e significa che si potrebbe delineare un'omissione di soccorso. "Emma Bonino ha paragonato gli accordi Italia-Libia alla trattativa Stato-mafia. E allora noi esortiamo chi sa a parlare, sia al ministero dell'Interno, sia al ministero della Giustizia, che come ha detto lo stesso Bija è responsabile del suo ingresso in Italia – ha sottolineato ancora Asgi – e parli anche l'Oim".

‘#StopAccordiConLibia', l'appello di Possibile

"La mobilitazione per chiedere lo stop agli accordi con la Libia ha portato migliaia di persone a fare pressione sul governo con l'hashtag #StopAccordiConLibia e oggi vengono annunciate delle modifiche al memorandum. Ma l'accordo in sé è una vergogna: la Libia non è un porto sicuro. Dovremmo proteggere le persone – uomini, donne e bambini – da quegli stessi con cui stringiamo accordi. Di fronte alla più grande violazione dei diritti umani del nostro tempo, così come è stata documentata da giornalisti come Nello Scavo e Francesca Mannocchi, ci chiediamo come si possa parlare di semplici modifiche, che non cambierebbero l’impianto generale degli accordi e che dovranno comunque essere approvate dalla Libia. E il Parlamento italiano invece? Questa volta sarà chiamato ad esprimersi?". Lo dichiara Beatrice Brignone, segretaria di Possibile.
"La ministra dell'Interno Lamorgese dichiara in queste ore che la questione va trattata a livello governativo e del presidente del Consiglio – aggiunge Brignone – ma c’è tempo solo fino al 2 novembre per alzare la mano e chiedere la rinegoziazione, altrimenti scatterà il rinnovo automatico. Quando intende agire il governo italiano?". 
"Chiediamo – conclude la segretaria di Possibile – che le forze di sinistra che oggi sono parte della maggioranza di governo prendano posizione fermamente per il ritiro degli accordi e che lo facciano ora, prima che se ne riparli tra tre anni. Il rinnovo della complicità dell’Italia nelle torture, stupri e assassinii che avvengono nei centri di detenzioni in Libia dovrebbe essere un confine da non oltrepassare, per tutti ma soprattutto per chi è stato eletto per rappresentare l’alternativa a chi quegli accordi li ha discussi e firmati".

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