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Italia all’ultimo posto nel G7 per fondi alla Sanità, il Ssn è a rischio: l’allarme di Gimbe

L’Italia investe nella sanità molto meno della media dei Paesi Ocse, in particolare quelli europei. La distanza è ampia sia guardando agli investimenti in percentuale del Pil, sia ai fondi pro-capite per la popolazione. Se il governo Meloni non cambia decisamente direzione con la prossima legge di bilancio, secondo la fondazione Gimbe, si rischia di perdere la sanità pubblica per come la conosciamo.
A cura di Luca Pons
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La spesa sanitaria dell'Italia, sia in termini di percentuale di Pil che in euro pro-capite, è troppo bassa e negli ultimi anni il distacco con gli altri grandi Paesi si è allargato. Di questo passo, senza un deciso intervento del governo Meloni già dalla prossima legge di bilancio, l'Italia rischia di perdere il suo Servizio sanitario nazionale finanziato con fondi pubblici e disponibile a tutti.

A segnalarlo è la fondazione Gimbe, in un rapporto che porta l'attenzione sui più recenti dati dell'Ocse. L'Italia, tra i 27 Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, è solo al sedicesimo posto per percentuale di Pil dedicata alla sanità. È ultima tra gli Stati del G7, e negli ultimi quindici anni la distanza non ha fatto che aumentare.

Perché l'Italia è così in basso nei finanziamenti alla sanità

Un po' di numeri: nel 2023, l'Italia ha investito il 6,2% del proprio Pil nella sanità pubblica. La media dei Paesi Ocse è al 6,9%, quella europea è al 6,8%. Può sembrare un distacco ridotto, ma non lo è. Mettendola in termini più concreti, per colmare la differenza e arrivare fino alla media Ocse (6,9% del Pil) l'Italia avrebbe dovuto mettere circa 14 miliardi di euro in più sulla sanità. Nell'Ocse ci sono quindici Stati che hanno risultati migliori dell'Italia: in testa tra gli europei c'è la Germania, con il 10,1%.

La situazione non migliora se si guarda alla spesa sanitaria pro-capite. In Italia nel 2023 è stata di 3.574 dollari a testa (l'Ocse usa i dollari per poter paragonare in vari Paesi con valute diverse). La media Ocse era a 4.174 dollari, quella degli Stati europei nell'Ocse addirittura a 4.470 dollari. Insomma, quasi 900 dollari in più per ogni cittadino investiti dal governo. In questo caso al primo posto nella graduatoria c'è la Norvegia, con 7.399 dollari a testa, mentre immediatamente davanti all'Italia c'è la Cechia, con ben 410 dollari in più.

L'Italia sempre in fondo, situazione peggiorata negli ultimi anni

Il punto è che l'Italia, rispetto agli altri Paesi ha visto un calo costante nei finanziamenti pro-capite alla sanità negli ultimi quindici anni. Nel 2008, prima dell'impatto più significativo della crisi economica e finanziaria, la media degli Stati europei dell'Ocse era a 2.320 dollari e quella italiana a 2.263 dollari. Poco più di 50 dollari di distacco. Oggi, come detto, quella differenza è arrivata a quasi novecento dollari.

Dal 2010 in poi ci sono stati tagli e definanziamenti. Anche durante la pandemia da Covid-19, quando gli investimenti in sanità sono aumentati, in Italia lo hanno fatto meno che altrove. E la differenza è aumentata ancora nel 2023, come negli anni precedenti. Lo stesso vale per il G7: dal 2008 al 2023, "l’Italia è stata sempre ultima tra i Paesi del G7" per spesa sanitaria pro-capite, ma "con il costante definanziamento degli ultimi 15 anni sono divenute ormai incolmabili", ha commentato Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe.

Cosa deve fare il governo Meloni e perché il Ssn è a rischio

La fondazione, nel mettere in evidenza questi dati, ha fatto riferimento alla prossima legge di bilancio, su cui il governo lavorerà nelle prossime settimane. I dati del ministero della Salute hanno mostrato più volte le difficoltà delle Regioni, e gli interventi del governo su temi specifici come le liste d'attesa finora non hanno dato i risultato attesi. L'obiettivo richiesto dalle opposizioni, e in parte appoggiato anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci, sarebbe di arrivare a un investimento del 7% del Pil. Ma per il momento non sembrano esserci le risorse, né la volontà politica, per raggiungerlo.

Ora che ci si prepara alla legge di bilancio, l'appello di Gimbe è netto: "Ripartire proprio dal divario attuale con i Paesi europei e quelli del G7, conseguenza di 15 anni di tagli e investimenti insufficienti", tenendo conto "che la sanità pubblica è una priorità su cui investire continuamente e non un costo da tagliare ripetutamente". E poiché oggi "la sanità pubblica è la vera emergenza del Paese", la richiesta al governo Meloni è di "un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico per la sanità, oltre che coraggiose riforme di sistema per garantire a tutti la tutela della salute, un diritto costituzionale fondamentale e inalienabile".

I rischi sono altissimi: "La perdita di un Ssn pubblico, finanziato dalla fiscalità generale e fondato su princìpi di universalità, eguaglianza ed equità determinerebbe un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti". Senza un intervento deciso nella prossima manovra "siamo destinati a rinunciare silenziosamente al diritto alla tutela della salute, già compromesso per le fasce socio-economiche più deboli, per anziani fragili e nel Mezzogiorno", e  "scivoleremo inesorabilmente da un Servizio sanitario nazionale fondato per garantire un diritto costituzionale a tutte le persone, a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative".

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