È vero: Umberto Bossi rappresenta probabilmente l'apice della politica più greve, opportunista, volgare, irrispettosa, violenta nei modi e nei toni, asservita a Berlusconi, razzista (ai tempi erano i terroni), qualunquista, gravemente antimeridionalista, smaccatamente contro le istituzioni, banalizzatore di argomenti che avrebbero richiesto serietà e studio, primo aizzatore degli istinti più bassi poi raffinati da altri, offensivo contro tutti gli impiegati pubblici, moralizzatore mentre veniva condannato per la maxitruffa dei 49 milioni di euro della Lega. Non è un politico che ispira empatia, no, No, Umberto Bossi.
Eppure è malato, ricoverato e, a guardar bene, non sta bene da anni. I messaggi che si leggono in queste ore sono allucinanti: "Bossi Krepa!", "Godo!", "deve marcire all'inferno", "mi auguro che non muoia subito ma abbia il tempo di soffrire" e così via. Trovarne non è difficile, basta farsi un giro su un social qualsiasi.
L'odio per l'avversario politico, odio che diventa poi arma di propaganda politica da rivoltare con la stessa virulenza anche contro gli amici dei nostri nemici è uno dei punti più bassi del dibattito pubblico di questi ultimi anni. Non rendersi conto che l'obiettivo primo di qualsiasi politica (ovvero di tutte le parti politiche) sarebbe non concorrere irresponsabilmente a una spaccatura sociale ma mantenere un'unico blocco seppur differenziato dai diversi bisogni, da diversi interessi, diverse priorità, dovrebbe essere una materia studiata a scuola, fin dalle prime lezioni di educazione civica, e con un esame obbligatorio per i nostri parlamentari.
Godere della malattia di qualcuno, di qualsiasi persona sia, significa entrare nello stesso cunicolo della ferocia che ci fa apprezzare i gattini e odiare i migranti; è lo stesso sentimento che ha sempre fame e finirà per mangiarci. Godere della malattia di Bossi non ha nulla di diverso da chi pensiamo di combattere: scrivere "un leghista in meno" è lo stesso vocabolario intriso di sangue di "un negro in meno" quando annega qualcuno. E fa male a tutti. Tutti. Fa male all'ecologia etica di un Paese che invece avrebbe bisogno di punti saldi morali da cui non discostarsi nemmeno quando lo scontro si fa più duro. Vivere la sconfitta fisica dell'avversario come una vittoria politica è roba da tempi del fascismo, roba che non ha niente a che vedere con la dialettica e, badate bene, non solo non ha niente a che vedere con la politica ma addirittura con il convivere civile.
Io mi auguro che Bossi si riprenda, che paghi i suoi errori con la giustizia e, chissà mai, che si renda conto di avere enormemente contribuito alla marcescenza di questo Paese.