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Opinioni

Ipocrisia, demagogia e populismo: il duello Fedez – Jovanotti – Salvini ci rappresenta al meglio

Il dibattito intellettuale fra Jovanotti, Fedez e Salvini è una delle cose più originali ed interessanti delle ultime settimane. Perché ci rappresenta al 100%. Sul serio.
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Premessa: non ascolto Jovanotti (sia quando canta che quando parla di politica); considero velleitaria la proposta politica di Salvini (nel senso che non costituisce una reale alternativa al modello renziano) e molto discutibile il suo modello comunicativo (qui, qui e qui mi ci sono dilungato); non mi piace la musica di Fedez e non mi capacito del suo assurgere a “vate politico – generazionale”. Così, tanto per marcare una certa equidistanza dai protagonisti del duello.

Detto ciò il dibattito intellettuale fra Jovanotti, Fedez e Salvini è una delle cose più originali ed interessanti delle ultime settimane. Sul serio. Perché ci rappresenta e in qualche modo evidenzia le fazioni in lotta fra loro e il modo in cui l’opinione pubblica si approccia alla politica. E non è un caso che gli ultra della politica si siano sbizzarriti in commenti, insulti e attestati di stima. Il riassunto della vicenda è tutto sommato semplicissimo:

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C’è il volto bonario e sorridente del renzismo: quello della società multiculturale, delle unioni civili, dell’ottimismo e della speranza; quello che ha ben chiaro cosa significa “essere di sinistra oggi” (anche se poi mette insieme parole come meritocrazia e flessibilità) e che quando pensa al futuro del Paese immagina Erasmus, Interrail e scambi culturali; quello che del #passodopopasso e la direzione è secondaria, del #cambiaverso a prescindere, della #rottamazione a targhe alterne; quello che pensa che usare i social media significhi abbondare di inglesismi e hashtag (e che controlla manu militari i media tradizionali); quello della narrazione dell’ottimismo che ha sempre bisogno di nemici, che siano gufi, professoroni o vecchi notabili importa poco.

C’è il volto telegenico della versione padana della destra casereccia all’italiana: quello passato da Padania Libera a prima gli italiani senza sentire il bisogno di giustificarsi; quello del no all’euro, all’immigrazione e alle tasse (ma senza smantellare lo stato sociale, per carità); quello del post ideologismo e del realismo spicciolo, che parla come mangia e detesta il politichese; quello che ha capito come usare i social network e ha sempre saputo usare i media tradizionali; quello che ha sempre bisogno di nemici, meglio se immigrati, rom, criminali e tecnocrati.

C’è il volto giovane e incazzato del populismo italiano (inteso nel senso buono, o meglio vero, del termine): quello che non accetta compromessi e che pensa che "buonsenso" e "mediazione" siano parole pericolose; quello di chi si sente sempre, costantemente, accerchiato; quello del manicheismo e della verità assoluta; quello del post ideologismo 2.0, del “prima la Rete” (salvo poi rinchiudersi in community di 50mila persone); quello che crede di aver capito come funzionano i social network e che ha sempre schifato i media tradizionali; quello della rivoluzione che ha sempre bisogno di nemici, che siano disonesti, politici o elettori di altri partiti in fondo importa poco, tanto sono tutti collusi.

E la discussione è fantastica, proprio perché ci rappresenta in pieno. Jovanotti che "rifiuta il modello culturale di Salvini", ma per contratto deve trincerarsi dietro la libertà d'espressione (che c'entra poco e niente) e per indole deve lasciarsi andare ad una allegoria senza alcun senso: le idee che danzano, mentre fascismo e razzismo diventano "orizzonti diversi". Fedez che subito sente puzza d'inciucio, di larghe intese e che deve per contratto e per indole tracciare il solco fra i buoni ed i cattivi. Certo, insulti razzisti e xenofobia: peccato che sia lo stesso Fedez ad aver scritto l'inno di chi scrive cose come questa (o anche questa e questa, per dire); peccato che le linee di Grillo e Salvini su euro e immigrazione non siano poi così lontane e che gli alleati di Grillo in Europa siano "oltre" la Le Pen. Salvini che deve per indole e per contratto scrivere una cosa del genere (che poi pensano milioni di italiani):

E in fondo, c'è poco altro da dire: questo è il dibattito politico, questo è ciò che ci interessa davvero e questo è il livello al quale ci è consentito esprimerci.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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