L’intervento di Giorgia Meloni alla “Giornata contro le droghe” sarà ricordato soprattutto per la contestazione subita da Riccardo Magi e la sua risposta cruda e diretta. In effetti, appare politicamente rilevante il fatto che la più alta carica del governo perda ineluttabilmente il controllo ogni volta che si trova in presenza di una minima contestazione o di un contraddittorio, urlando alla censura o peggio al “tentativo di intimidazione”. Allo stesso tempo, però, si rischia di perdere di vista il merito della questione, che è piuttosto rilevante: il governo italiano ha una visione bigotta e retrograda sull’utilizzo delle sostanze, determinata solo in parte da posizionamenti ideologici o dalla ricerca del consenso. Il problema principale è che Meloni e i suoi sono terribilmente disinformati.
Nel suo saluto al convegno per la “Giornata internazionale contro l'abuso di droga e il traffico illecito” (la definizione corretta), Giorgia Meloni ha sciorinato il meglio della retorica proibizionista, condendola con enunciazioni di principio sul concetto di libertà piuttosto semplicistiche. Nel suo elenco per punti, ha collezionato una serie di errori di ragionamento, ma soprattutto ha messo in fila considerazioni antiscientifiche e controfattuali. Il primo argomento su cui la leader della destra italiana intende costruire la sua narrazione, ad esempio, è piuttosto semplice: “La droga fa male sempre e comunque. Ogni singolo grammo di principio attivo che consumi si mangia un pezzo di te. Non importa quanto grande o piccolo sia, si mangia un pezzo di te”. Nei passaggi successivi dell'intervento, il concetto viene esplicitato meglio: “Le droghe fanno male tutte. Non ci sono distinzioni sensate da questo punto di vista. Chi vi racconta che in fondo ci sono delle droghe che non hanno delle conseguenze vi sta dicendo una menzogna e lo sa. Dire che le droghe sono tutte uguali e che addirittura ci sarebbero droghe che possono essere usate senza problemi è un inganno che sulla nostra società ha prodotto delle conseguenze pesantissime”.
Tralasciando la retorica, siamo in presenza di generalizzazioni e semplificazioni piuttosto evidenti. Ma soprattutto di informazioni antiscientifiche: le sostanze non sono tutte uguali, hanno effetti diversi e conseguenze non equiparabili. Ci sono robusti studi scientifici che catalogano le sostanze in base alla loro pericolosità (tra l’altro a leggerne qualcuno si potrebbe rimanere piuttosto sorpresi, o anche colpiti dall’ipocrisia italica). Così come ci sono evidenze sul fatto che conoscenza e consapevolezza dell'uso di sostanze riducano gli effetti deleteri e responsabilizzino gli individui. Generalizzazioni e imprecisioni non sono mai il modo migliore per comunicare, specie in ambito sanitario. Del resto, è noto e già consentito (anche in Italia!) l’utilizzo terapeutico di alcune sostanze, così come ci sono diverse sperimentazioni in corso per la cura di malattie o disturbi come depressione o epilessia.
Ancora una volta: le droghe non sono tutte uguali, ci sono eccome distinzioni da fare sulla pericolosità delle sostanze, non esistono soluzioni comuni a questioni così complesse, servono approcci diversi a problemi ed effetti diversi, ma soprattutto non c'è alcuna proposta che miri alla "libera circolazione": una presidente del Consiglio non dovrebbe inviare messaggi così confondenti e semplicistici.
Per quanto riguarda l'uso delle droghe leggere, le argomentazioni di Meloni sono talmente banali da rendere finanche difficile la contestazione puntuale. A mero titolo di esempio, Meloni dice: “In uno spinello di oggi c'è una percentuale di THC, cioè di principio attivo, che è enormemente più grande della quantità di principio attivo che c'era nello stesso spinello di 20, 30, 40 anni fa. E allora, si può davvero definire leggero qualcosa che ha al suo interno il 25%, il 37%, fino al 78% di principio attivo?”
Qui probabilmente la presidente del Consiglio fa un po’ di confusione, proponendo una versione potenziata della cosiddetta “teoria del 16 percento”, che era quella secondo cui non si potesse più adottare la definizione di “droga leggera” a causa dell’aumento fino al 16%, appunto, della percentuale di THC nella marijuana in commercio. Se è vero che nel corso degli anni la concentrazione di THC è notevolmente aumentata, quello degli “spinelli” con concentrazioni di THC addirittura al 78% è un argomento fantoccio, che non può essere usato con tale superficialità e serve solo a inquinare il dibattito. La media della concentrazione di principio attivo è decisamente più bassa (meno del 10%), solo la marijuana di altissima qualità ha intorno al 30% di THC, l’hashish di livello arriva forse al 40% (qualcosa in più per l’utilizzo in forma di olio), mentre per cifre vicine a quelle sparate da Meloni bisogna riferirsi a concentrati, estratti o lavorazioni complesse. Insomma, è decisamente improbabile che esista una circolazione massiccia di sostanze con elevatissime concentrazioni di principio attivo. È vero che diversi istituti registrano una diminuzione della percezione del rischio associato al consumo di cannabis e che è assodato un aumento medio della concentrazione di THC nei prodotti in commercio, ma proprio per questo occorrerebbe maggiore accuratezza e precisione nelle informazioni, specie se da fonti ufficiali.
Peraltro, il convitato di pietra dei ragionamenti della destra è sempre lo stesso: si chiama alcool e, malgrado sia la sostanza più impattante e nociva, trova strenui difensori proprio tra le fila della maggioranza di governo.
La lotta alla droga secondo Giorgia Meloni
L'approccio antiscientifico è un problema, certo. Altresì preoccupanti sono le dichiarazioni d'intento del governo in materia di contrasto alla diffusione del consumo di sostanze stupefacenti. Partiamo dal piano comunicativo, citando sempre il messaggio di Meloni: "Tutta la narrazione va unicamente in una direzione. Film, serie televisive, il messaggio sottinteso è sempre lo stesso: la droga è anti-conformista, la droga non ti fa male, la droga fa bene. E arriviamo al paradosso di avere serie che ti raccontano come un eroe lo spacciatore, sulle stesse piattaforme che facevano i documentari contro Vincenzo Muccioli, contro un uomo che aveva salvato migliaia di ragazzi, quando lo Stato era girato dall’altra parte”.
Attenzione però a considerare questa specie di crociata contro Breaking Bad come una boutade, perché mostra in maniera perfetta qual è la strategia comunicativa della destra. Che, appunto, parte dalla sindrome da accerchiamento (siamo circondati da messaggi che spingono al consumo di droga!), sfiora il vittimismo (noi abbiamo le risposte e le soluzioni ma gli altri ci ostacolano e ci intimidiscono!) e approda al populismo spicciolo, nella classica variante del “nessuno tocchi i nostri bambini!”. È esemplare il modo in cui Meloni strumentalizzi dei singoli casi di cronaca per sostenere il suo punto:
Il messaggio che lanciamo oggi è che lo Stato intende fare la sua parte, credo sia oggettivamente intollerabile per qualsiasi Nazione civile dover vedere bambini che vengono ricoverati in ospedale per avere assunto accidentalmente droga che era stata lasciata incustodita dai loro genitori, o vedere neonati che vengono al mondo in crisi da astinenza, che si devono mantenere a metadone appena nati. Io penso che chi si gira dall'altra parte o chi dice che va bene così, obiettivamente, abbia un problema, dovrebbe avere un problema di coscienza, per quello che noi stiamo vedendo nella nostra quotidianità.
Ora, conoscete qualcuno a cui "va bene" che ci siano bambini intossicati o dipendenti da qualunque sostanza? Conoscete qualcuno che voglia "trattare gli anziani come scarti proprio quando avrebbero più esperienza da dare"? Conoscete qualcuno che non voglia "rimettere al centro la persona umana" contro la cultura del consumo?
Domande retoriche, ovviamente. Perché di retorica sono intrise le ricette della destra in materia di contrasto all'abuso di sostanze stupefacenti. Essenzialmente si tratta della versione all'italiana della war on drugs, basata appunto su un approccio quasi esclusivamente repressivo.
È un modello prima di tutto anacronistico, in particolare per quel che concerne le droghe leggere, e che va in controtendenza con le tendenze legislative nel resto del mondo. Disincentivare il consumo di sostanze attraverso la leva del proibizionismo non ha mai funzionato e l’Italia non ha mai fatto eccezione. Lo scriveva la Direzione Nazionale Antimafia in un report di qualche anno fa: “La mastodontica attività di contrasto non ha portato significativi risultati sotto il profilo della riduzione dei consumi di sostanze stupefacenti, soggetti, al più, a fluttuazioni di carattere macro-geografico, generazionale o culturale; né sono percepibili variazioni significative nel flusso di denaro di cui si appropriano annualmente diversi sodalizi criminali”. Non funziona e rende solo più forti le organizzazioni criminali, creando di fatto una sorta di libero mercato in cui il potenziale consumatore ha accesso a qualunque tipo di sostanza.
Il combinato disposto con l’attuale legislazione, che ha l’imprinting dell’ambiente politico da cui Meloni proviene, ha poi avuto un effetto deleterio sul sistema carcerario, contribuendo a sovraffollamento e iniquità delle sanzioni (che colpiscono in misura maggiore individui a basso reddito o che vivono situazioni di marginalità sociale). L’orrenda Fini – Giovanardi contribuisce a lasciare in carcere non i grandi trafficanti o i membri delle organizzazioni criminali, ma consumatori e piccoli spacciatori. Che spesso sono recidivi, dunque perdono l’accesso alle misure alternative al carcere, per passare anni in carceri sovraffollate in cui non c’è possibilità di riabilitazione.
Le ricette della destra, insomma, le conosciamo e non funzionano neanche sul piano della repressione: non riducono il consumo, non diminuiscono la circolazione delle sostanze, non scalfiscono la forza delle organizzazioni criminali, privano lo Stato di qualunque possibilità di controllo di un settore cui sono legate le vite di tante persone con problemi di tossicodipendenza. Se l'aumento del consumo o del traffico di sostanze stupefacenti è indiscutibile e richiede risposte immediate, magari concertate con i partner internazionali, le tesi oscurantiste e repressive del governo guidato da Giorgia Meloni possono rappresentare un ulteriore problema. Lo stesso World Drug Report 2023, nel segnalare i rischi legati all'aumento dell'utilizzo delle sostanze, invita a fare distinzioni di senso e di natura (l'attenzione si è spostata da tempo sulle droghe sintetiche e sui rischi ambientali delle coltivazioni intensive), ma soprattutto chiede ai governi sforzi mirati e impegni meno generici. Dare priorità a scelte di salute pubblica nella regolamentazione dell'uso medico delle droghe (dunque trovare un equilibrio fra la possibilità di accedere a medicinali senza dover ricorre al mercato nero e i necessari meccanismi di controllo), azzerare le disparità nell'accesso alle sostanze controllate, garantire un vero diritto alla salute per le persone affette da dipendenza, intervenire sulle disuguaglianze sociali (che catalizzano gli effetti più deleteri del consumo), mettere in campo campagne di comunicazione responsabili.
Nessuno immagina che Giorgia Meloni e la destra possano lavorare per la liberalizzazione del mercato o men che meno legalizzare le droghe leggere (scelta che alcuni di noi continuano a sostenere e delle cui ragioni vi abbiamo parlato qui, qui e qui). Ma ci vuole poco per far meglio di così. Consapevolezza, informazione precisa e affidabile, regolamentazione dell'accesso alle sostanze lecite, ricerca scientifica, supporto medico e psicologico per le dipendenze: non è difficile. E non serve neanche scomodare le serie tv.