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Caso Boccia-Sangiuliano

“Io sono un uomo, nessuno ti crederà”: cosa sarebbe successo se Maria Rosaria Boccia non avesse registrato tutto

Se Maria Rosaria Boccia non avesse portato le prove delle sue verità, difficilmente sarebbe stata creduta. E invece oggi è il ministro Sangiuliano a dover rispondere delle sue azioni.
A cura di Jennifer Guerra
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“Io sono il ministro, io sono un uomo, io rappresento l’istituzione e in futuro nessuno crederà a tutto quello che tu dirai”. Sarebbe questa la frase che il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano avrebbe detto pochi mesi fa a Maria Rosaria Boccia, al centro delle cronache per la promessa di un incarico di consulenza al ministero e una presunta relazione sentimentale. E così Boccia ha accumulato le prove: fotografie, documenti, chat, filmati realizzati con occhiali dotati di telecamera e in parte già condivisi sui social; ma stando a ciò che l’imprenditrice ha raccontato in un’intervista a La Stampa, ci sarebbero altre carte che dimostrano non solo la relazione con il ministro, ma anche – cosa che dovrebbe interessare molto di più dal punto di vista politico – le spese in suo favore sostenute con soldi pubblici.

La destra vede in questo gesto la pianificazione di un’arrampicatrice sociale, la machiavellica vendetta di un’amante tradita, addirittura un complotto politico: Boccia sarebbe stata manovrata da qualche potere occulto per rovesciare il governo, mettendo in imbarazzo uno dei suoi ministri più in vista. Ma la storia è molto più semplice di così, e non è la prima volta che un uomo di potere che ha una relazione inappropriata con una donna ne esce vincitore. Se questa donna tra l’altro non è una vittima manipolata, ma una persona ambiziosa, è molto facile spostare su di lei l’attenzione. Boccia evidentemente lo sapeva, e ha preso delle contromisure.

Sapeva che sarebbe ben presto diventata l’“influencer, accompagnatrice, sartina, una che si vuole accreditare, millantatrice, la Anna Delvey della politica italiana, aspirante collaboratrice, consolatrice, badante, e un amore culturale”, ma nessun appellativo, ricostruzione dei giornali o intervista sulla tv di stato senza contraddittorio può negare le carte.

Quello che Boccia fa della sua vita dovrebbe importarci poco. Anche la vita privata di un ministro sarebbe poco interessante, se non fosse che questa classe politica ha sempre usato il privato come strumento di propaganda e potere, almeno finché non gli si ritorce contro. Lo abbiamo visto con la vicenda di Andrea Giambruno, un altro uomo che ha sfruttato la sua posizione per amministrare le sue faccende private, per poi chiedere riserbo quando è stato scoperto. Ora, con Sangiuliano, si ripete il copione, ma con un ingrediente in più, che ci costringe a non ridurre tutta questa storia a un imbarazzante teatrino da C’è posta per te, una questione tra amanti che per sbaglio si è riversata sulla scena pubblica. Un ministro che abusa due volte del suo potere: prima per ingraziarsi una donna che gli interessa, usando risorse dello Stato e promettendo un incarico, poi per minacciarla.

Boccia non è la vittima di questo schema. Al contrario, ha deciso che non può sempre vincere chi ha a disposizione 17 minuti ininterrotti di intervista al telegiornale. Con le sue rivelazioni ha soltanto ribadito quello che era sotto agli occhi di tutti: Gennaro Sangiuliano è inadeguato per il ruolo che ricopre, le nomine di questo governo sono assegnate in maniera discutibile, la cosa pubblica gestita con leggerezza e personalismi. Questa è una verità che gli italiani conoscevano già, ma come ha ricordato il ministro a Maria Rosaria Boccia, quando è una donna a parlare nessuno le crede.

Anche in un altro ben più famoso e importante scandalo che coinvolse un rappresentante delle istituzioni e una relazione extraconiugale, quello di Monica Lewinsky, qualcuno registrò di nascosto le prove. Linda Tripp, una dipendente del dipartimento della Difesa, registrò le conversazioni telefoniche con cui l’amica le confidava la liason con il presidente americano Bill Clinton, facendo scoppiare il sexgate. Lewinsky diventò lo zimbello dell’intera nazione, le fu diagnosticato un disturbo post-traumatico da stress e visse come un’eremita per quasi vent’anni. Clinton, tutto sommato, ne uscì molto meglio di lei. Quando Lewinsky provò a parlare pubblicamente dell’umiliazione subita, fu accusata di volersi arricchire. “A quanto pare, se gli altri parlano di me va bene; se sono io a parlare per me stessa no”, scrisse in un famoso articolo su Vanity Fair nel 2014, il primo a raccontare la sua versione dei fatti.

Sono 26 anni che Lewinsky si chiede cosa sarebbe successo se fosse stata lei a raccogliere le prove e a rendersi narratrice della sua storia. In tutti questi anni, non è mai stata creduta, ma sono stati creduti tutti quelli che hanno parlato al posto suo: da Clinton, ai giornalisti, ai produttori di documenari, fino a chi voleva renderla a tutti i costi una vittima di violenza. I contorni della vicenda che coinvolge il ministro andranno chiariti, si spera in Parlamento e non al falò di Temptation Island, ma una cosa è certa: dal suo profilo Instagram all’intervista a La Stampa, Boccia non è stata zitta. E a chi le chiede conto del comportamento del ministro ha dato una risposta per tanti aspetti rivoluzionaria: il rappresentante delle istituzioni è lui, non io.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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