Il solito Flavio Briatore, spaccone, smargiasso, così antipatico da pensare che lo faccia apposta.
Flavio Briatore è l'highlander della guerra di classe. Lui non lotta, lui guerreggia. Da sopra il piedistallo che si è costruito in grazia del lavoro altrui – e per merito della benevola accondiscendenza di chi crea aureole dietro la sua testa in cambio di luce riflessa – oggi Flavio Briatore ha assurto le sembianze del guerriero (con qualche macchia) a difesa dei privilegi.
Flavio Briatore è il guru della lotta di classe al contrario.
Barba bianca, sguardo torvo, qualche ruga e quella pancetta da "io mangio sempre quando voglio", che fa tanto uomo di potere.
Flavio Briatore è bello e dannato come un James Dean di Cuneo, con la grazia di Alvaro Vitali, e in fondo gli si vuole bene.
Flavio Briatore è quello zio che al pranzo di Natale sai che al terzo bicchiere di vino potrebbe dire qualunque cosa, ma che con le sue boutade ha salvato tante conversazioni, e la sua irruenza da cattivo ti ha fatto molto ridere negli ultimi anni. Insomma davvero in certi momenti sembra di volergli bene, ma è proprio in quei momento che Flavio Briatore ci strappa dal mondo dei sogni: lui è quello che ci tiene a ribadire che "i poveri rompono il ca**o invece di ringraziare i ricchi", cioè lui. E allora tutta l'idea del bene che gli si vuole, del vino e del pranzo di Natale, svanisce.
La verità è che forse Flavio Briatore pensa esattamente quello che del resto ribadisce a ogni intervista: “Non ho mai visto un povero creare posti di lavoro".
Ed è tutto sbagliato in questa affermazione: la colpevolizzazione del povero, in primis, invece di ricercare la causa della povertà (prevalentemente) nell'impostazione della società. Tra l'altro la stessa impostazione della società che ad esempio permette a lui di essere sfacciatamente ricco. Penso alla sua barca – soltanto una barca – del valore di 20 milioni di euro.
E allora capite che c'è qualcosa che non va quando dichiara "molti ragazzi cercano lavoro sperando quasi di non trovarlo. Io lo vedo chiaramente: preferiscono il reddito di cittadinanza a un percorso di carriera. Il Paese vero è questo qui”.
Flavio Briatore, sei fuori strada come una Renault che viaggia in un campo di grano. Il Paese reale è rappresentato da una mostruosa differenza fra ricchi e poveri, e con la classe media che si restringe, soffoca e perde pezzi e persone da anni.
Sono 1,4 milioni i bambini in Italia in condizione di povertà assoluta, i dati sono quelli dell'Istat, e si riferiscono all'ultimo anno.
"Bambini" e "povertà assoluta" non dovrebbero stare mai nella stessa frase, figuratevi una frase ripetuta per 1 milione 382mila volte.
Il totale delle persone in povertà assoluta, in Italia, è 5,6 milioni. Persone, non numeri.
Per questo ti sbagli, Flavio Briatore. La povertà non è una colpa, se non (casomai) dei più ricchi.
E mi dispiace sentirti incolpare il reddito di cittadinanza che invece – è certificato dall'Istat – ha salvato dalla povertà assoluta almeno un milione di persone.
Flavio Briatore, se tu conosci qualcuno che preferisce prendere 500 euro al mese (cifra media del reddito di cittadinanza), rispetto a lavorare con te, forse il problema sono le condizioni che offri, non il reddito di cittadinanza. Sei abbastanza intelligente per comprenderlo, e davvero mi dispiace ascoltare le tue invettive.
Sarebbe invece bello chiacchierare insieme bevendo un whisky alla faccia del capitalismo, con i bicchieri poggiati su un tavolo d'abete, il problema è che tu ti crogioli nel rappresentare proprio il volto peggiore del capitalismo.
Quello più sfacciato, rivendicato, non quello che si giustifica dicendo "non sono perfetto, sono semplicemente l'unica alternativa", ma un capitalismo di stampo quasi imperiale, fra re e sudditi colpevolizzati per non essere riusciti a diventare Re (con la maiuscola, come te).
Flavio Briatore è l'epigono di Sergio Marchionne, con una spruzzata di Vittorio Sgarbi e una granella di Massimo Boldi.
E lui ci sguazza in questo ritratto, gigionezza, non si schernisce e arriva sempre dritto al punto: infangare la reputazione di chi non riesce a guadagnare abbastanza per andare in vacanza, o per permettersi cure mediche adeguate.
"A persone importanti e a meretrici tutto è permesso", recita un italico proverbio, che credo abbia più di un fondamento.
A Flavio Briatore è permesso fare tutto, dire qualunque cosa, essere assolto in Tribunale oppure condannato, per lui in fondo non cambia niente: la deferenza per la sua figura rimane. I like ai suoi post degli amici ricchi, le interviste zerbinate, le battute da balera.
"Venghino signori, venghino", alla corte c'è posto per tutti, è necessario soltanto inchinarsi e rendere omaggio al Papa laico.
Ormai ogni soffio di Flavio Briatore smuove i titoli, sempre meno gossip e sempre più politica. Ci si rivolge a lui con la stessa riverenza che daremmo a un resuscitato Zaccagnini; Flavio Briatore viene intervistato come fosse un vate, un aedo del contemporaneo.
Anche le presunte fidanzate di Flavio Briatore, bellissime, al suo cospetto appaiono eteree, come dire scompaiono.
Fra l'uomo aggressivo di mezza età e la giovane top model il pubblico non ha dubbi: desidera vedere Briatore incazzato con i poveri, tipo il leone che sbrana il malcapitato nell'arena, e sugli spalti è tutto un tifo per Flavio.
Poi quel pubblico sugli spalti lo analizzi e vedi che qualche volta più sono disgraziati e più tifano per lui che i disgraziati invece li odia, perché per i primi è comunque un modo per non sentirsi tali.
C'è un proverbio che dice: "Dio ti liberi dai poveri arricchiti e dai ricchi caduti in miseria". Io non posso confermarlo, non ne conosco personalmente nessuno, e forse questa è una grazia.
Ma di un altro proverbio, invece, sono sicuro: "Chi tutto mangia, tutto caca". Perché in fondo anche io sono un po' Alvaro Vitali, mica lo è solo Flavio Briatore.