“Essere considerato nel mirino della mafia o di altri e quindi sottoposto a misure di protezione non deve essere considerato una colpa”. Lo dichiara il pubblico ministero Nino Di Matteo a Fanpage.it, in seguito alle non poi così velate accuse di ‘divismo' espresse dal presidente della Corte d’appello di Palermo Ivan Marino. Il magistrato siciliano, sotto scorta dal 1995, ha partecipato all'Università degli Studi di Milano all’incontro pubblico "Strumenti contro la criminalità organizzata", ideato dall’associazione "L’Alligatore" della facoltà di Giurisprudenza. “I giovani sono bombardati quotidianamente da notizie e commenti che propinano una realtà che non c’è: spesso vi fanno credere che le indagini della magistratura siano frutto dell’ultimo accanimento inquisitore dei pubblici ministeri. Il potere in Italia è solito alzare il muro di gomma e certe notizie semplicemente devono essere eliminate o acuite con l’uscita di altre notizie, creando confusione”, ha commentato Di Matteo in aula.
Sembra quasi che qualcuno voglia dipingere i pm come personaggi in cerca di visibilità politica. È come se si volesse far passare per notizia non le indagini e i contenuti delle inchieste, ma il magistrato come singolo accusandolo di divismo. Non crea isolamento questo meccanismo?
Il meccanismo di accusare il magistrato di protagonismo e di volontà politica è ormai purtroppo tristemente collaudato. È lo stesso meccanismo che si scatenò nei confronti di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e di tanti altri magistrati che adesso molti commemorano, fingono di commemorare, quando in vita li criticavano così come criticano i magistrati di oggi. Io credo che il magistrato comunque debba andare avanti puntando sempre alla verità cercando di mostrare attraverso le prove e la raccolta delle prove, nei dibattimenti e nei processi quello che ritiene doveroso dimostrare, non facendosi mai guidare da un criterio di opportunismo della politica in una scelta processuale, ma dal criterio della doverosità dell’azione del magistrato e pubblico ministero in un regime di obbligatorietà dell’azione penale. Poi siamo consapevoli che ogni qualvolta l’azione penale viene esercitata nei confronti di potenti immancabilmente le reazioni sono abbastanza organizzate e sistematiche. E talvolta anche violente. Ma il lavoro del magistrato deve contemplare anche il mantenimento della serenità e delle necessità di non farsi travolgere dalle accuse, dalle diffamazioni, dalle campagne di delegittimazione.
Durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario non sono mancate le polemiche per il processo sulla trattativa Stato-mafia. Ivan Marino, presidente reggente della Corte d’appello di Palermo, ha messo in guardia dai ‘protagonismi’, criticando le misure straordinarie di sicurezza che proteggono i pm.
Io ho scelto di non commentare le parole del presidente della corte d’appello di Palermo che ovviamente mi hanno amareggiato. Non vorrei soltanto che il fatto di essere considerato talmente nel mirino della mafia o di altri e quindi di essere sottoposto a delle misure di protezione eccezionali diventasse una colpa.
Ci sono state molte critiche alla riforma dell'articolo 416ter sul voto di scambio politico-mafioso e all'introduzione del reato di autoriciclaggio. L'accusa è che non siano affatto efficaci. Lei concorda? Se sì, cosa c'è che non va?
La legge del nuovo 416 ter se presenta certi aspetti positivi, in altri complica le cose. Tanto è vero che in virtù della nuova legge la Corte di cassazione ha addirittura annullato una condanna inflitta in primo e secondo grado ad un politico siciliano. In ogni caso le pene edittali previste – il limite massimo e minimo di pena che viene espresso dalla norma penale come sanzione per aver commesso il reato, ndr – sono a mio parere troppo blande e sicuramente molto differenti rispetto a quelle previste per il 416 bis, quasi che il reato di scambio politico elettorale mafioso sia un reato meno grave. Io non credo che ciò sia condivisibile perché l’azione di un candidato che consapevolmente cerchi il mafioso per essere sostenuto ed eletto è un’azione molto grave che arreca un vantaggio incredibile alle organizzazioni mafiose in termini di rafforzamento del prestigio criminale e della capacità intimidatrice nei confronti della collettività. Non possiamo accettare che questo tipo di condotta venga considerata meno grave rispetto alle altre condotte tipiche dell’organizzazione mafiosa.
Ogni anno, se mettiamo insieme evasione fiscale, corruzione e impatto delle mafie sul piano economico-sociale, scopriamo che una cifra compresa tra i 250 e i 500 miliardi di euro spariscono dalle casse pubbliche per finire in portafogli privati. Il governo ha detto che vuole contrastare evasione fiscale, corruzione e mafie, ma finora non pare aver avuto molto successo e siamo ancora alle chiacchiere. Secondo lei cosa si dovrebbe fare per cercare di fermare gli "esattori" della cosiddetta "Tassa mafiosa"?
Abbiamo bisogno di un salto di qualità. Bisogna non considerare la lotta alla corruzione e la lotta alla mafia come due esigenze diverse, come due segmenti distinti e che non si incontrano mai. Ed è proprio attraverso i reati contro la pubblica amministrazione che le mafie penetrano nella politica e nelle pubbliche amministrazioni. E allora non possiamo a mio parere accettare che ancora alle giuste e severe pene nei confronti dei mafiosi e per i reati di mafia si contrappongano invece delle sanzioni penali molto blande nei confronti di reati di corruzione, abuso d’ufficio, turbativa d’asta, concussione. Perché questi reati costituiscono la chiave di grimaldello attraverso cui le mafie si impadroniscono delle pubbliche amministrazioni e ne inquinano le attività. Fino adesso ai tanti annunci non è conseguita l’approvazione a mio parere di leggi che effettivamente impediscano questa situazione di sostanziale impunità del fenomeno corruttivo.